DASPO - Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive |
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Venerdì 14 Giugno 2013 22:28 | |
Il Daspo (da D.A.SPO. acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive), volgarmente chiamata in ambito ultras Diffida, è una misura introdotta con la legge 13 dicembre 1989 n. 401, al fine di contrastare il crescente fenomeno della violenza negli stadi di calcio.
Cenni storici
La normativa introdotta in Italia per contrastare la violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive nasce in particolare per le partite di campionati di calcio. Il problema esplose in tutta la sua gravità il 29 maggio 1985, in occasione della finale di coppa dei campioni tra le formazioni di Juventus e Liverpool, allo stadio Heysel di Bruxelles quando la violenza degli ultras inglesi generò disordini che causarono la morte di 39 tifosi, quasi tutti italiani. Un episodio che scosse l’opinione pubblica a livello europeo e che condusse alla firma, e successiva ratifica, della Convenzione Europea conclusa a Strasburgo il 19 agosto del 1985. Numerose raccomandazioni, risoluzioni e decisioni da parte delle Istituzioni comunitarie si susseguirono negli anni:
La Convenzione Europea sulla violenza e i disordini degli spettatori durante le manifestazioni sportive, segnatamente nelle partite di calcio si pone l'obiettivo specifico della prevenzione e controllo non soltanto dei fenomeni durante le partite di calcio ma anche inerenti “[…]agli altri sport e manifestazioni sportive, tenuto conto delle loro esigenze specifiche[…]”, in cui si temano, appunto violenze o disordini degli spettatori. La Convenzione pone un punto fermo sulle modalità di elaborazione e di attuazione di tali provvedimenti, enfatizzando “[…] una maggiore presenza dei servizi d’ordine […]” e l’adozione, se del caso, di “[…] una legislazione che commini pene appropriate o, all’occorrenza, provvedimenti amministrativi appropriati alle persone riconosciute colpevoli di reati legati alla violenza o disordini degli spettatori […]”.
Il Parlamento italiano, in tale contesto europeo, emana dapprima la L. 13 dicembre del 1989 n. 401,a cui susseguirono: il D.L 22 dicembre 1994, n.717 e la successiva conversione in L. 24 febbraio 1995, n.45; Il Decreto legge 20 agosto del 2001, n.336 seguito dalla conversione tramite legge del 19 ottobre 2001, n.377; Il Decreto legge 24 febbraio 2003, n. 28, convertito dalla legge 24 aprile 2003, n. 88; il Decreto legge del 17 agosto 2005, n. 162, con la successiva legge di conversione del 17 ottobre 2005, n. 210 (legge Pisanu) culminando con il DL 8 febbraio 2007, n. 8, convertito con la Legge del 4 aprile del 2007, n. 41 (legge Amato).
Caratteristiche
Il Daspo vieta al soggetto ritenuto pericoloso di poter accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive.
Il provvedimento viene emesso dal questore e la sua durata può andare da uno a cinque anni, in base alle modifiche del cosiddetto Decreto Amato varato nel febbraio 2007 dopo gli scontri di Catania che hanno causato la morte dell'Ispettore di Polizia Filippo Raciti.[1] Può essere accompagnato dall'obbligo di presentazione ad un ufficio di polizia in concomitanza temporale della manifestazione vietata. Esso viene sempre notificato all'interessato ma, nel caso in cui ad esso si affianchi l'obbligo di comparizione, esso è comunicato anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente. Il Procuratore della Repubblica, entro 48 ore dalla sua notifica all'interessato, ne chiede la convalida al G.i.p. presso il medesimo Tribunale, che deve provvedere entro le successive 48 ore, a pena di perdita di efficacia. Tuttavia, il Questore può autorizzare l'interessato, in caso di gravi e documentate esigenze, a comunicare per iscritto il luogo in cui questi sia reperibile durante le manifestazioni sportive.
Critiche
Il fatto che il Daspo possa essere emesso sulla base di una semplice denuncia e non necessariamente dopo una condanna penale ha comportato molte proteste di incostituzionalità, soprattutto da parte degli ultras.[2]
In realtà, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 512 del 2002, inquadra la misura del Daspo tra quelle di prevenzione, che possono essere quindi inflitte anche in attesa del processo ed essere poi revocate in caso di assoluzione.[3] La lunghezza dei processi fa sì che assai spesso la persona sottoposta al Daspo sconti per intero la "diffida" senza che il processo che ad essa ha dato origine venga celebrato, compromettendo di fatto alcune libertà fondamentali come quella di circolazione (art. 16 della Costituzione).
Note
Collegamenti esterni
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