LIBERTÀ
EGUAGLIANZA
MONITORE NAPOLETANO
Fondato nel 1799 da
Carlo Lauberg ed Eleonora de Fonseca Pimentel
Anno CCXXV

Rifondato nel 2010
Direttore: Giovanni Di Cecca

Camorra: questione di mentalità Stampa
Scritto da Giancarlo Nobile   
Lunedì 26 Settembre 2011 20:39

 

 

altLa camorra, questa endemica mala pianta dell’area napoletana, ha avuto negli ultimi vent’anni una crescita esponenziale, balzando così nelle cronache quotidiane non solo per i suoi delitti o per il suo folclore, ma anche con la sua iniziativa economico-finanziaria, con i suoi rapporti con la politica, con l’ecologia tramite l’ecomafia specialmente sversamenti di rifiuto tossici nell’agro campano. Così la camorra è entrata non solo nelle cronache delle attività criminali ma nella di tutta la società napoletana e nazionale.

Questa proliferazione invasiva dell’attività della camorra ha conseguentemente mobilitato gli studiosi: si sono sviluppati dibattiti, si sono scritti migliaia di libri, si sono susseguiti migliaia di articoli e saggi; ha mobilitato le forze dello stato così sono stati arrestati migliaia di camorristi, sono stati celebrati centinaia di processi, è stato inviato l’esercito nell’area napoletana e casertana. Ma la mala pianta camorristica risorge sempre e comunque, purulenta ed infettiva, più che mai.

Ma che cos’è quel fenomeno che chiamiamo camorra? Dov’è? Come si struttura? Quali sono e dove sono le sue radici? Probabilmente rispondendo a queste domande, senza remore ideologiche e preconcetti sociologici, potremmo cercare di costruire un percorso positivo, se non del tutto vincente, per confinare, almeno, il fenomeno malavitoso in un recinto fisiologico comune a tutte le società umane.

Per giungere a ciò dobbiamo tenere presente che un ciclo virtuoso passa ineluttabilmente per una metamorfosi della società napoletana; tenendo presente che non vi è metamorfosi senza il dolorosa lasciare consolidate certezze ed abitudini.

Quella che dobbiamo è la metamorfosi di una mentalità radicata; e questa mutazione passa per un’ intima riconversione di modelli culturali consolidati che hanno nutrito quella napoletanità che nella maggior parte dei casi cade in prassi incivili e violente.

Ed è specioso ed inconcludente il discorso di tanti che paventano, da una mutazione della società napoletana la scomparsa della peculiare identità di questa città, come se una città che ha tremila anni di storia e storia di altissimo livelli, possa modificare il suo animus eliminando quelle incrostazioni di basso livello che la degradano.

La criminalità organizzata che chiamiamo camorra non è e non può essere intesa come un corpo estraneo ma come un importante fattore di regolarizzazione sociale dell’area napoletana (e con essa buona parte dell’area casertana), infatti essa è un’ importante componente per gli equilibrio sociali di consistente parte dell’area.

La società napoletana, se la osserviamo bene, è formata da due società che si contrappongono. Ciò si evidenzia se analizziamo le statistiche su l’area in cui balza a prima vista un paradosso: la criminalità cresce sia qua quando aumenta l’occupazione, sia quando aumenta il reddito pro capite, si con l’aumento dei consumi, sia se si sviluppa il consumo dei quotidiani, della televisione, dei cinema e dei teatri cioè dei consumi culturali.

Si tratta di un paradosso apparente che dipende dal fatto che si considera il territorio napoletano come se fosse abitato, fondamentalmente, da una popolazione omogenea.

Ma invece, invece, vi sono due distinte popolazioni una netta minoranza moderna che aumenta la fruizione di beni culturali, che vive in una imprenditorialità moderna e una popolazione, la maggioranza assoluta, che scivola sempre più nell’incultura nel tribalismo familistico, sono due popolazioni che vivono nello stesso quartiere la stessa strada, lo stesso palazzo ma anche due linguaggi diversi, due interpretazioni della vita, del lavoro, della società, del costume, della morale totalmente dissimile.

Questa situazione fu ben descritta da Vincenzo Cuoco nel 1821 nella sua Storia del Regno di Napoli (Ed. Procaccino) infatti affermava: …che sbaglia chi considera come una nazione napoletana, in realtà sono due: distinte tra loro due secoli e due gradi di clima.. aggiungeva ‘ ..la prima non vede la seconda perché ha lo sguardo rivolto a Londra o Parigi (oggi diremmo Unione Europea). Questa dualità dopo secoli è sostanzialmente rimasta ed anzi con la distruzione del tessuto urbano e culturale operato in questi anni e la ghettizzazione dell’immenso ed amorfo hinterland della periferia napoletana (che comprende buona parte del territorio casertano) questa dicotomia si è rafforzata.

In definitiva nell’area napoletana abbiamo una società moderna di livello paragonabile al resto d’Italia che cresce economicamente e culturalmente (meno di quello che vorrebbe perché zavorrata) e una società arretrata arcaica, medievale in cui l’unica modernità accolta è la fruizione di modelli simbolici della società consumistica e televisiva, ed è in questa società che l’illegalità è la forma di auto-regolamentazione dei conflitti interni accettata.

In definitiva, per questa popolazione, la funzione di Stato è svolto dalle consorterie camorristiche; quello che noi definiamo Stato è il nemico invasore, estraneo, che è portatore di valori nemici amorali in conflitto con il loro modello di convivenza e dei modelli etici

Vi sono modelli etici che formano la mentalità camorristica come l’onore, l’appartenenza al gruppo, al potere maschio rispetto alla femmina che è moglie-madonna o prostituta, valori che possiamo vedere tramite le canzoni e le sceneggiate di cantanti in voga presso ‘l’altra popolazione’.

Ma anche questa lettura della struttura è superficiale in quanto nella camorra, come in tutte le società tribali, prevale un codice femminile cioè quel codice materno che è basato sul sangue. Nella camorra prevale il principio materno del clan, del legame di sangue (concreto e simbolico), della solidarietà intesa come complicità tra i membri dello stesso gruppo. Ma questo aspetto lo esaminerò più dettagliatamente in seguito.

Le due società non hanno mai dialogato o cercato una mediazione, come acqua ed olio nella stessa bottiglia, sono rimaste per secoli separate.

La società che guarda due secoli indietro ha sempre vissuto parallela ma sostanzialmente estranea all’altra che mutava da essa soltanto alcuni aspetti che considerava ‘folcloristici’.

La società che guarda all’Europa si sostanzialmente chiusa in se stessa nella propria bottega’ al massimo ha utilizzato l’altra quella dei lazzari per giochi di poteri (i Borboni e la nobiltà rurale utilizzavano la camorra per controllare il popolo, Garibaldi utilizzo come polizia i gruppi camorristici, i Fascismo inquadrò la camorra nelle sue squadracce, in tempi moderni il laburismo, con le sue scarpe e la pasta regalata, ed il doroteismo gavianeo/craxiota con o’ posto per raccolta di voti ed è quest’ultimo modello che ha prodotto quei psuedo disoccupati organizzati che avvelenano la vita sociale a Napoli). Per rimanere nell’ambito del periodo del dopoguerra si possono leggere i libri di Percy Allum Il potere a Napoli, fine di un lungo dopoguerra e Napoli punto e a capo (Ed. L’ancora del mediterraneo).

La borghesia napoletana ha utilizzato l’altra società con una prassi che possiamo chiamare illegalità/legale che va dalle video cassette e musicassette pirata a basso costo, al pane ed altre mercanzie in qualsiasi giorno ed ora, al parcheggio abusivo, alle scommesse ed al lotto clandestino sino alle costruzioni abusive etc. il tutto senza tener conto che ciò, oltre che a formare la società senza l’indispensabile mediazione di regole e leggi, nutre economicamente le attività illegali e la conseguente violenza. In definitiva possiamo dire che la sfaccettata borghesia napoletana è affetta da camorra non conclamata che può degenerare in procedure proprie della camorra.

La società tribale ha fatto irruzione nell’altra negli anni settanta e ottanta quando con la diffusione di massa della droga ha dovuto invadere campi diversi per investire gli ingenti capitali accumulati con tale commerci dall’ora la convivenza è divenuta difficile, conflittuale.

Il campo invaso, in modo particolare modo, è stato quello dell’edilizia, attività prevalente nel napoletano, da qui la commistione tra imprese legali ed illegali e la conseguente commistione con i politiche che bisognosi di voti, instaurano il patto scellerato con la camorra rilasciando le licenze ed erogando i finanziamenti come è avvenuto post-terremoto.

Negli anni ottanta si è strutturata quella camorra spietata che ha ucciso, tra i tanti, l’innocente Silvia Ruotolo. L’affermarsi il potere di questa camorra è stato ben descritto da Francesco Barbagallo nel suo saggio Napoli fine novecento – politici, camorristi, imprenditori (Ed. Einaudi).

Egli scrive: ‘…Rispetto ai decenni precedenti, la novità più consistente degli anni ottanta è stata l’espansione della forza della criminalità camorristica che ha acquisito una centralità, mai avuta prima, sul terreno economico finanziario, amministrazione degli enti locali, negli intrecci di rapporti e di interessi con i poteri politici ed istituzionali….

Per rompere questo schema che a Napoli si formi una società coesa, una maggioranza di popolazione che rispecchi i valori etico-culturali ed economici condivisi dal resto dell’Europa e dunque non vi siano due società parallele dove una, che ha valori etici condivisi con il mondo civile moderno, guardo allo Stato come regolatore sociale, ed un’altra, che ha valori etici propri tribali, utilizza la camorra come regolamentazione sociale.

Per giungere a ciò occorre sradicare le radici della forma bivalente della società napoletana, sradicare le radici vuol dire mutare la mentalità di quella maggioranza della popolazione che vive due secoli indietro.


La mutazione della mentalità

Per condurre la maggioranza della popolazione dell’area napoletana a livelli europei occorre intervenire non solo in termini repressivi ed economici – possiamo dire che il problema dell’area non è la disoccupazione e la malavita ma essi sono i sintomi di un male profondo: occorre intervenire su quel male: ogni azione intesa a contrastare solo i sintomi diviene vana e la camorra risorgerà sempre.

Ecco dunque che l’affrontare la camorra diviene l’affrontare la mentalità che la sorregge e la nutre. Per far ciò occorre utilizzare in forme nuove la scuola. Affrontare seriamente nell’ambito della scuola la camorra vuol dire pedagogicamente affrontare una mutazione di mentalità.

La mentalità è una sorta di griglia attraverso cui noi leggiamo la realtà per poterla comprendere e poterci rapportare ad essa, assumendo determinato comportamenti. Questa griglia è costituita da tutte le credenze, le idee, gli atteggiamenti e le aspettative nei confronti di noi stessi, del mondo esterno, e dei propri rapporti con esso. Nei fattori determinanti la mentalità bisogna considerare anche quegli elementi di cui l’individuo non ha piena coscienza, ma che possono essere inseriti da altri di cui si ha una manifestazione diretta.

La camorra, nata come codice di difesa del popolino napoletano (1656 la peste scoppio a Napoli spazzando via la nascente borghesia napoletana il popolo abbandonato dal governo dei Viceré Spagnoli iniziò a chiudersi in se stesso ed auto-governarsi tramite i Juappi (guappi = capofamiglia) che vestivano la gamoras giacchetta come quella dei toreri) ha mutuato la sua mentalità nei codici di famiglia tipici delle società tribali – mutuandone anche il metalinguaggio (padrino – compare ecc) – e della famiglia ha strutturato una mentalità dogmatica, fatta di credenze positive incentrata sull’idea dei ruoli predeterminati e sul concetto di appartenenze e dì autorità’.

Ma essendo questi canoni essenzialmente materni il maschio camorrista tende ad esasperare l’aspetto virile. Il legame con la madre (da ciò mammasantissima) è forte non essendoci legami extrafamigliari basati sulla mediazione della legge ma solo rapporti soggettivi di parentela e affiliazione (adozione).

E’ da questo schema che si forma la trasposizione dei codici virili dell’onore della famiglia all’onore dell’organizzazione criminale; tradimento, corna, sangue, fedeltà, codici che formano la commistione tra camorra e famiglia e che nutrono la griglia della sua mentalità.

Occorre un lavoro della scuola essenzialmente che abbia una interpretazione antidogmatica e dunque laica della definizione della coscienza personale. Un tragitto che nell’educazione faccia perno sull’etica della responsabilità individuale e sulla ricerca della possibile verità quale criterio di crescita sociale e di decisioni.

Ho scritto di laicità: Ma chi è il laico? Il concetto di laicità è un concetto poliedrico. Normalmente questa figura si presenta come polemica contro il dogmatismo e le prese di posizione dogmatiche. In realtà il laicismo è questo ma non fondamentalmente questo.

In origine significava l’uomo profano rispetto all’uomo che sa tutto, all’uomo dominante, all’uomo di spicco, all’uomo che ‘ha l’autorità di dire o di ordinare’ - nella camorra il capozona, capoclan - . Quindi laico è l’uomo che ha bisogno di sentire il parere di tutti perché è incerto sulla propria visione delle cose.

In questo caso parlare di laicità equivale a costruire la formazione, tramite un percorso pedagogico, di una persona che scopre nel dialogo con gli altri il mettersi in discussione e mettere in discussione il proprio mondo. Il rompere cioè lo schema familistico amorale in modo che l’appartenenza al gruppo e a ciò che veicola, come ordine dell’esistente e dell’esistenza, può essere messo in discussione e rifiutato.

Qui nasce un nuovo concetto esso è l’etica del rifiuto. Il rifiutare un ordine è un passaggio molto importante nella coscienza di sé. Esso è la fuoriuscita dalla sindrome Eichmann, dal nome del gerarca nazista condannato a morte nel 1962 le cui tesi difensive furono analizzate da Hannah Arendt nel bellissimo libro La banaità del male (Ed. Feltrinelli) tale sindrome consiste nell’accettazione di qualsiasi ordine deresponsabilizzandosi da qualsiasi remora etico-morale in quanto questa ricade nella sfera complessiva della famiglia o clan o cosca o partito.

L’obbedienza non è una virtù diceva, giustamente, Don Milani, ma il rifiuto deve essere accompagnato da una ricerca critica delle motivazioni profonde dello stesso. La paura di essere escluso dal gruppo è la molla che porta ad accettare qualsiasi azione richiesta.

La paura è la molla che ha portato i lazzari napoletani a chiudersi nell’ambito familistico che ha poi strutturato la camorra e la violenza, come analizzò Rosellina Balbi in Madre paura (ed. Pocket Mondatori). L’uomo camorrista vive in uno stato di paura preventiva ciò lo possiamo cogliere in espressioni gergali tipiche nel napoletano come che paura, che impressione o il famigerato pare brutto una gabbia che chiude nella rassicurante famiglia e distrugge l’interrelazione sociale.

Occorre dunque pedagogicamente un destrutturalizzazione dell’io sociale, con una critica costruttiva in cui l’ io si rende autonomo rendendo il soggetto costruttore di nuove strade esterne alla realtà della sua famiglia.

Solo quando si è formato un nuovo io forte che può dunque dialogare pariteticamente e autonomamente con gli altri io scoprendo così l’alterità si può costruire una nuova socialità ed una nuova mentalità. Se possiamo definire il tutto con uno slogan esso è ‘ meno famiglia e più soggettività, meno famiglia e più società .

In tutto questo si racchiude la finalità della scuola in zona di camorra. La metamorfosi di un modo d’essere, un modo di interpretare la vita e la società.


Una legge speciale per l’educazione in zona di camorra

In un recente sondaggio al primo posto come motivazione delle imprese industriali e finanziarie dell’impossibilità di investire nel napoletano vi era la criminalità diffusa. Già questo avrebbe dovuto far muovere il governo e cercare seriamente di agire. Ma ciò non è mai avvenuto le sole azioni sono state azioni placebo come inviare miliardi per Imprese senza radice che poi falliscono o inviare l’esercito per calmare la borghesia spaventata.

Tutte l’azione dei governi succeduti negli ultimi decenni, ove ministri meridionali e napoletani sono stati in maggioranza, diviene comprensibile osservando che quasi tutti i politici della zona sono stati indicati dalla magistratura come complici o direttamente collusi con le consorterie camorristiche come è stato ben descritto nel già citato libro di Barbagallo. Ed oggi con il governo schiacciato su posizioni del Nord Italia, un governo composto da uomini fondamentalmente incolti, senza spirito democratico, dominati dalla paura preventiva come quelli della Lega (la camorra del Nord) e proni ad un padrone che elargisce pseudopotere come il signor B. la situazione diviene ancor di più drammatica.

L’Italia è un paese che ha perso, nel dopoguerra, il treno della modernità fatta di coscienza civile e sociale, di responsabilità personale ed ha imboccato a suon di stragi e tentativi di golpe la via del modernismo cioè un congelamento al tribalismo (di cui il becero Fascismo era la piena espressione) coperto da uno strato di beni consumistici come spiega Guido Craiz nel suo Il paese mancato (Donzelli Editore)

La sinistra, in questi anni, costruiva la sua analisi e le sue proposte incentrandole sui problemi economici, ma mai ha posto l’accento sulla questione scuole ed educazione come si evince dal drammatico libro di Tullio de Mauro la cultura degli italiani (editori Laterza) libro che mette a nudo l’arretratezza culturale del nostro paese.

Si è tragicamente visto che la questione non è essenzialmente economico quando ragazzi, figli di industrialotti, hanno voluto affermare l’appartenenza nei modelli etici propri di una mentalità tribale uccidendo un ragazzo con la scusa di prendersi il motorino. Ma allargando il discorso basta vedere le statistiche della fruizione dei beni di lusso e si scopre che il napoletano è saldamente primo per questi consumi, non dimentichiamo che la città con i più alto indice di depositi bancari non è nel nord Europa ma è San Giuseppe Vesuviano infine, ultimo dato, tra i tanti, che si potrebbero citare, il numero delle Finanziarie che nell’area è tra le più alte d’Europa . Dunque non vi è povertà ma un modo di essere poveri. Vi è un economia chiusa, asfittica, medievale coperta da un becero modernismo.

Ben pochi hanno evidenziato che, rovesciando un luogo comune, non è la ricchezza che produce l’equilibrio sociale ma è l’equilibrio sociale dovuto alla cultura che produce vera ricchezza.

Un governo serio e democratico dovrebbe operare per la camorra come si opera con le grandi catastrofi naturali: terremoti, alluvioni, inondazioni. Occorre una ‘legge speciale’ e finanziamenti ad hoc per le zone colpite dal grande cataclisma della mentalità camorristica. E nel contempo una azione preventiva per evitare i sommovimenti malavitosi.

Ma questo cataclisma che dura da secoli, con i suoi migliaia di morti, distruzione ambientale – la Provincia di Napoli è stata la prima ad essere dichiarata con Decreto Ministeriale ‘zona ad alto rischio ambientale . con il suo infettare il corpo dell’intera nazione – tutto questo non è stato mai affrontato con ‘leggi speciali per l’educazione’ che sradichino la radice della mala pianta.

Un’azione educativa deve condurre ad una metamorfosi di un modo d’essere, un modo di interpretare la vita e i rapporto sociali. Certamente quest’azione non può svolgerla una scuola ‘a regime normale’ anche tenendo presente che nel napoletano non vi è mai stata una vera scuola a regime normale.

Occorre un progetto educativo forte. Per far questo occorrono un criterio ed una metodologia per affrontare il problema con un atteggiamento costruttivo e responsabile e ciò può avvenire tracciando più linee, delle coordinate, in cui verrà posto il progetto che si vuol mettere in atto.

Queste coordinate sono, da un lato, le finalità morali e le finalità ideali del progetto educativo (possiamo dire che sono gli elementi a lungo, lunghissimo termine) dall’altro, bisogna partire dalle situazioni concrete e a questo punto non si può parlare di area napoletana, ma si deve parcellizzare l’intervento, nella sua visuale e scendere al quartiere, scendere ad un’estrazione particolare di un dato quartiere e ambiente.

Così potremo giungere ad cuore di quelle strutture familistico-tribali e operare e infondere quegli stimoli positivi. Tale lavoro è oggi svolto con estrema difficoltà ed abnegazione dai Maestri di Strada guidati da Marco Rossi Doria ecco la legge speciale per l’educazione dovrebbe dare strutture e strumenti finanziari a questi operatori.

Il primo Assessorato del Comune di Napoli dovrebbe essere quello della Cultura e dell’Educazione sociale e tutti gli altri dovrebbero lavorare per collimare le proprie iniziative a quello principale.

*****

Stimolare i giovani e questo vale essenzialmente per un aspetto negativamente forte dei lazzari ad una consapevolezza dell’autodisciplina e di un ordine acquisito per il riconoscimento autonomo del proprio valore.

Non è vero che il ragazzo napoletano per sua natura sia ribelle.

La disciplina costituisce un limite, ma anche una sicurezza. Un argine ad una forza le cui esuberanze danno problemi e creano nervosismo, prima che a qualunque altro, fondamentalmente a chi esercita tale esuberanza.

Anche il cosiddetto bambino-ribelle, il folcloristico scugnizzo (oggi chiamato muschillo – piccola mosca – quando fa il corriere della droga) che è diventato un tipo caratterologico del ragazzo napoletano è un ragazzo fondamentalmente abbandonato, e più che dire abbandonato a sé stesso, bisogna mettere l’accento su un ragazzo abbandonato e basta, perchè quel sé stesso non costituisce per lui nessuna protezione, non costituisce nessuna sicurezza di cui egli ha bisogno e chiede in forme per lo più implicite.

Ma in quale ambiente realizzare tutto ciò?

Un ambiente è educativo di per se, educativo sia nel senso positivo che negativo.

Far vivere persone in ambienti ristretti,. Scarsamente illuminati, ambienti sporchi, trascurati crea diseducazioni, crea tutto il contrario di ciò che affermiamo essere importante. Dunque recupero urbano e ristrutturazione dei plessi scolastici devono andare di pari passo.

Anche la struttura urbana è educativa, come lo sono le simmetrie delle facciate delle case; a Napoli non si è fatta mai la guerra ai balconi abusivi come vi sono a Forcella, o a Piazzetta Nilo o Via Sforza o su muro dei chiostri di San Gaetano e via elencando – sto scrivendo del centro storico e antico dichiarato monumento dell’umanità dall’UNESCO - buttare giù i balconi e ripristinare le facciate è un’indicare il primato delle regole – è la legge astratta ed universale che governa gli uomini - ed educare alla simmetria visiva che si riverbera in un ordine mentale. Lo slogan in questo caso può essere: la durezza della legge e la dolcezza della cultura.

I plessi scolastici devono diventare i centri di riferimento della società, in luoghi ove non vi è niente come servizi sociali ed educativi, la scuola deve divenire l’avamposto della società civile; così avremo un utilizzo a tutto campo per attività che trascendono i programmi d’insegnamento.

Così la scuola diviene la palestra per la profonda metamorfosi della mentalità. Per far questo la scuola deve coinvolgere i nuclei familiari nell’attività pedagogica con l’educazione permanente.

Solo con una rivoluzione sociale laica Napoli può iniziare a produrre in modo endogeno futuro, altrimenti rischia ancor di più l’emarginazione e l’irrilevanza nella società globalizzata, e tutto questo può produrre solo ancor di più disperazione e violenza.

altComitato Piero Gobetti

Via Belsito,41 - 80123 Napoli

tel.08159833354  fax. 0812466293

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Anno CCXXV
Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Napoli Num. 45 dell' 8 giugno 2011
ISSN 2239-7035 (del 14 luglio 2011)
Direttore Responsabile & Editore: GIOVANNI DI CECCA


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