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Anno CCXXV

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Direttore: Giovanni Di Cecca

Oscar Luigi Scalfaro il Presidente nella bufera di Tangentopoli Stampa
Scritto da Giovanni Di Cecca - Virginia Bellino   
Lunedì 30 Gennaio 2012 16:26

Il 29 gennaio si è spento a Roma, durante il sonno, il novantatreenne ex Presidente Emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

I funerali si svolgeranno oggi, 30 gennaio, alle ore 14 in forma privata nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, a Roma. La salma sarà poi tumulata domani nel cimitero di Cameri, un paesino del novarese, nella tomba di famiglia.

“E’ con profonda commozione che rendo omaggio alla figura di Scalfaro nel momento della sua scomparsa, ricordando tutto quello che egli ha dato al servizio del Paese, e l’amicizia limpida ed affettuosa che mi ha donato“

Queste le parole con cui il Presidente Giorgio Napolitano ha ricordato l’amico scomparso apprendendo la notizia. Egli lo ha poi definito “ esempio di coerenza ideale ed integrità morale”, ricordando come Scalfaro abbia avuto sempre come riferimento supremo la Legge, la Costituzione e le istituzioni repubblicane.

Ma chi era il defunto presidente?

Magistrato e uomo Politico, fu eletto nell’assemblea costituente del 1946 e, successivamente,  Deputato della Repubblica ininterrottamente dal 1948 al 1992, anno in cui fu eletto Presidente della Camera dei Deputati, e nella seduta a Camere riunite del 25 maggio, egli stesso lesse ad alta voce lo spoglio che lo portò ad essere eletto Presidente della Repubblica.

Il suo mandato durò 7 anni, e coprì un periodo difficile, coincidente con la fine della cosiddetta I Repubblica su base Democristiana e la nascita della cosiddetta II Repubblica, quella del Bipolarismo all’Italiana.

Dal 1999, come per tutti gli ex Presidenti, è stato nominato Senatore a Vita.

Va inoltre ricordato che, come per altri due suoi illustri predecessori, Enrico De Nicola e Sandro Pertini, tra i vari incarichi istituzionali ricoperti nel corso della sua vita politica ci fu anche quella della Presidenza del Senato.

Dunque, una vita intera consacrata alle Istituzioni, dalla laurea in Giurisprudenza conseguita nel 1941, alla Magistratura alla Politica

Dotato di solidissima Fede Cattolica, nella fase Costituente è stato il promotore dell’abolizione della Pena Capitale.

 


 

Quelle due condanne a morte del 1945.

Nel luglio 1945 sostenne con altri due colleghi la pubblica accusa nel processo che vedeva imputati per «collaborazione con il tedesco invasore» l'ex prefetto di Novara Enrico Vezzalini e i militi Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante. Dopo tre giorni di dibattimento venne chiesta per i sei la condanna a morte, eseguita il 23 settembre successivo: i condannati non vennero uccisi alla prima maldestra raffica dell'inesperto plotone di esecuzione e sui corpi si accanì poi un gruppo di donne.

In veste di pubblico ministero presso il Tribunale d'emergenza di Novara, Scalfaro ottenne un'altra condanna capitale. La condanna tuttavia non fu eseguita a causa dell'accoglimento del ricorso in cassazione del condannato Stefano Zurlo. Ricorso suggerito, a quanto sostenne Scalfaro, proprio da lui stesso.

Posta la fondatezza delle accuse (messa poi in dubbio dallo stesso Scalfaro decenni dopo), trattandosi di crimine sul quale (stando al codice penale di guerra in vigore)  era prevista la pena capitale, la richiesta di condanna a morte era l'unica pena richiedibile da chi rappresentava l'accusa, a meno di un proprio rifiuto o dimissione dall'incarico.

Successivamente lo stesso Scalfaro manifestò dubbi sulla fondatezza dei processi, influenzati dall'incandescente clima e dall'emozione popolare, affermando tra l'altro di «non aver elementi per rispondere» alla figlia di Domenico Ricci, che gli chiedeva di esprimersi sulla innocenza o colpevolezza del padre.

A seguito dei sopracitati fatti, come membro dell'Assemblea Costituente Scalfaro si impegnò successivamente affinché fosse eliminata la pena di morte dalle leggi della Repubblica Italiana (da http://it.wikipedia.org/wiki/Oscar_Luigi_Scalfaro).


I sette anni bui della Presidenza.

La sua elezione alla Presidenza della Repubblica, avvenne all’indomani (il 25 maggio 1992) della “strage di Capaci” dove la Mafia fece saltare in aria un pezzo di autostrada per uccidere il magistrato del Pool Antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo (anch’essa magistrato), e gli uomini della scorta.

La bufera di Tangentopoli, la cosiddetta inchiesta Mani pulite, era partita pochi mesi prima con l’arresto del “mariuolo isolato” Mario Chiesa il 17 febbraio 1992.

Dall’arresto di Mario Chiesa (esponente di primo livello del PSI Milanese) in poi,  lo scandalo e le “manette tintinnanti” si sparsero a macchia d’olio, creando un vuoto politico come non mai nella storia Unitaria del Paese (neanche lo Scandalo della Banca Romana di un secolo prima fu così devastante).

Scalfaro nominò Giuliano Amato come Presidente del Consiglio all’indomani delle Elezioni Politiche del 1992, le prime svoltesi (le elezioni avvennero il 5 e 6 aprile 1992) con il ciclone imperante di Tangentopoli.

La Democrazia Cristiana ebbe il suo minimo storico e la formazione di un Governo fu particolarmente difficile.

Amato già consigliere economico di Craxi, venne nominato Presidente Incaricato per formare il nuovo governo.

Nel 1993 scoppiò lo "scandalo SISDE", relativo alla gestione di fondi riservati.

Partita dalla bancarotta fraudolenta di un'agenzia di viaggi i cui titolari erano funzionari del servizio segreto del Viminale, un'inchiesta della magistratura fece emergere fondi "neri" per circa 14 miliardi depositati a favore di altri 5 funzionari; ci furono l'intervento del Consiglio Superiore della Magistratura per dissidi fra il magistrato che indagava e il suo procuratore capo, quello della commissione parlamentare d'inchiesta sui servizi segreti, presieduta da Ugo Pecchioli, e quello del ministro dell'Interno Nicola Mancino, e tutti si misero a indagare sull'operato del Servizio mentre a San Marino venivano individuati altri 35 miliardi di uguale sospetta provenienza.

Nel frattempo la figlia di Scalfaro, Marianna, fu fotografata in compagnia dell'architetto Adolfo Salabé (la vera ragione dell'incontro era il suo progetto per l'arredamento del palazzo del Quirinale e l'appartamento di rappresentanza nella Palazzina del Presidente), sospettato di intrattenere affari per lui eccessivamente vantaggiosi con l'ente e che nel 1996 patteggiò la pena per le diverse imputazioni ricevute. I funzionari fornivano versioni di uso "regolare" dei fondi riservati, ma in ottobre uno degli indagati, Riccardo Malpica, ex direttore del SISDE (=Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica) ed agli arresti da due giorni, affermò che Mancino e Scalfaro gli avrebbero imposto di mentire; aggiunse inoltre che il SISDE avrebbe versato ai ministri dell'interno 100 milioni di lire ogni mese. (Wikipedia citato)


«Io non ci sto!»

La sera del 3 novembre 1993 Scalfaro si presentò in televisione, a reti unificate e interrompendo la telecronaca diretta della partita di Coppa Uefa tra il Cagliari e la squadra turca del Trabzonspor, con un messaggio straordinario alla nazione nel quale pronunciò l'espressione "Non ci sto", parlò di "gioco al massacro" e diede una chiave di lettura dello scandalo come di una rappresaglia della classe politica travolta da Tangentopoli nei suoi confronti.

Nei giorni successivi i funzionari del SISDE furono indagati per il reato di "attentato agli organi costituzionali", accusa dalla quale furono prosciolti nel 1996 per decorrenza dei termini (ma senza formula piena).

Nel 1994 i funzionari furono poi condannati, dimostrando la fondatezza della accuse di Scalfaro e nel 1999, concluso il settennato, Scalfaro fu denunciato da Filippo Mancuso per presunto abuso d'ufficio relativamente al suo periodo come Ministro dell'interno e sempre sull'ipotesi di illecita percezione dei detti 100 milioni al mese; circa l'effettiva percezione vi erano state diverse versioni di Malpica e la denuncia di Mancuso provocò numerose prese di posizione, come quella di Oliviero Diliberto, in quel momento Guardasigilli, il quale ricordò che la Procura di Roma aveva comunicato il 3 marzo 1994 che «...nei confronti dell'onorevole Scalfaro non sussiste alcun elemento di fatto dal quale emerga un uso non istituzionale dei fondi». Lo stesso Scalfaro, del resto, nel maggio 1994, durante una visita al santuario di Oropa, aveva ammesso la percezione di tali fondi: «Sfido chiunque a dimostrare che chi è stato ministro dell'Interno, e non solo io, ha dato una lira fuori dai fini istituzionali» La sortita aveva provocato una richiesta trasversale di spiegazioni da parte di esponenti di Alleanza Nazionale, Forza Italia e Partito Democratico della Sinistra, ma il Quirinale, almeno nell'immediato, si tacque. (Wikipedia citato)


La II Repubblica

Nelle elezioni politiche successive alla Bufera di Tangentopoli, alla “discesa in campo” e alla vittoria di Silvio Berlusconi, allora “solo” Presidente di Mediaset e Presidente del Milan (nonché amico stretto di Bettino Craxi) con il neo partito Forza Italia (che si affermò primo partito in Italia con 21, 01% dei voti contro il 20,36% del PDS), e la conseguente nascita della cosiddetta II Repubblica, iniziò un lungo e difficile periodo di coesistenza tra “l’inquilino del Colle” e Palazzo Chigi.

In fase di creazione della lista dei Ministri del Governo, Scalfaro ritenne sgraditi alcuni nomi tra i quali Cesare Previti (all’epoca indagato ma non ancora condannato) al ruolo di Ministro della Giustizia (sostituito poi con Alfredo Biondi), e si ritiene che il Presidente Scalfaro rivolto al neo Premier abbia detto «Devo insistere: per motivi di opportunità quel nome non può andare.»

Il secondo momento di scontro con Berlusconi avvenne all’indomani della caduta del I Governo Berlusconi dopo solo sei mesi, che invece di indire elezioni politiche (date anche le circostanze della bufera Tangentopoli che imperversava a vario furore) seguendo il dettame costituzionale sull’indipendenza dei deputati una volta eletti diede incarico a Lamberto Dini (allora Direttore Generale della Banca d’Italia) di formare un nuovo Governo.

Fu la nascita del Primo Governo Tecnico della storia Repubblicana formata da esperti nei vari settori non eletti dal popolo.

Fu anche l’inizio di un periodo in cui gli italiani videro con diffidenza il Colle, soprattutto quando nel 1996 fu introdotto la cosiddetta legge della “Par Condicio” in cui tutti i partiti politici avevano eguale accesso ai media.

La legge venne introdotta, effettivamente, per contrastare la propaganda pubblicitaria di Berlusconi, che con il suo colosso Mediaset, nella fattispecie Publitalia ’80, la società di comunicazione pubblicitaria del gruppo, aveva fatto una propaganda serrata nelle precedenti elezioni.

Con la vittoria del Centro Sinistra guidato da Romano Prodi, nel 1996, Scalfaro, in seguito anche agli attacchi ricevuti da esponenti del Centro Destra, perse un po’ di quella prerogativa di ruolo Super Partes invocando sempre più esplicitamente un sostegno alla maggioranza uscita delle elezioni del 1996 (nominando anche D’Alema Presidente Incaricato dopo la caduta di Prodi a seguito della mancanza della fiducia di Rifondazione Comunista).

Dopo il settennato, quando fu nominato Senatore a vita, appoggio col suo voto il II Governo D’Alema.

Dopo la parentesi presidenziale si è speso molto nella difesa della Costituzione.

Oggi dunque l'Italia saluta un presidente che”, citando ancora le parole del Presidente Giorgio Napolitano, “ha saputo fronteggiare, da capo di stato, uno dei periodi più difficili della nostra storia"


 

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Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Napoli Num. 45 dell' 8 giugno 2011
ISSN 2239-7035 (del 14 luglio 2011)
Direttore Responsabile & Editore: GIOVANNI DI CECCA


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