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L’ITALIA E L’EUROPA IN ATTESA DELLA GRECIA Stampa
Scritto da Tommaso Manzillo   
Giovedì 17 Maggio 2012 23:39

Atene non uscirà dall’Euro. Non può. Non deve.

L’incidenza percentuale del prodotto interno lordo greco è piuttosto contenuta rispetto alla ricchezza dell’intera zona Euro, ma i rischi e i pericoli che vengono dal mondo ellenico si trasformano in mine vaganti per la politica economica Europea. Contro la pesante situazione ivi presente, la migliore soluzione possibile sarebbe l’uscita dalla moneta unica europea. E poi? Già! Cosa succederà il giorno dopo, anzi un secondo dopo il ritorno di Atene alla dracma? Una forte svalutazione della moneta locale, un’impennata dei tassi di interessi con gravi ripercussioni finanziarie ed economiche su tutta la struttura greca (pensiamo ai mutui a tasso variabile, per esempio), coniugata con il tracollo sociale di un Paese già martirizzato da minacce esterne, da politiche restrittive interne, e da una tensione sociale piuttosto elevata.

E all’Euro cosa accadrà? Anche per la moneta unica europea si prospetta una forte svalutazione contro il dollaro e le altre monete, a vantaggio delle esportazioni tedesche. A questo si coniuga una massiccia fuga di capitali contro il rischio della svalutazione, come sta succedendo da qualche settimana ad Atene. Si innescherebbe un circolo vizioso, una spirale autodistruttiva dalle immane proporzioni.  Viene il dubbio che solo la Germania abbia da guadagnare da questa situazione, considerando che i rendimenti dei sui Bund, che divengono così dei veri e propri beni rifugio, sono più bassi del tasso di inflazione. Ma la Grecia non uscirà dalla moneta unica. I mercati non lo vogliono e non lo auspicano, tanto da non mostrare livelli di stress preoccupanti. Certamente, dietro lo stallo politico ellenico si nasconde la voglia di trattare con l’unione Europea per una via di uscita condivisa, che non sia solo di austerità, ma costruttiva

 

 

Ma, tolta di mezzo la Grecia, la spirale autodistruttiva colpirà a ruota libera la Spagna e l’Italia. Noi siamo dentro fino al collo, al di là delle parole che ci offre la politica, quella politica responsabile del crac del nostro sistema. Lo abbiamo detto più volte e lo ribadiamo con forza: i giovani delle presenti generazioni sono oggi chiamati a pagare il conto per le scelleratezze passate e per l’indecisionismo di questo governo che è chiamato a dare una scossa al nostro Paese, altrimenti l’alternativa è il baratro.

Davanti all’emiciclo parlamentare dove tutti i partiti cercano migliori strade per spartirsi quello che è rimasto della torta, prima dell’avvento dell’antipartitismo, il Governo è fermo, immobile, incapace di imboccare la strada della crescita, come tutti invocano, ma che nessuno riesce veramente a trovare.  La nomina della Commissione per il taglio della spesa pubblica e l’invito rivolto ai cittadini per rintracciare gli sprechi, sono il segno ridicolo di un esecutivo al dessert (almeno loro se lo possono permettere!). Il rigore di bilancio deve essere accompagnato da misure per la crescita, e queste non possono essere rappresentate soltanto dall’aumento della pressione fiscale. L’incremento della tassazione deve servire principalmente  per muovere l’economia attraverso politiche keynesiane, di incremento della spesa pubblica, perché tassare un Paese e usare il denaro per politiche di bilancio vuol dire togliere moneta dal circuito produttivo, già in recessione, e aspettare che tutto crolli per ripartire. Le priorità sono gli investimenti pubblici e privati e il lavoro,  generando ricchezza e, quindi, materia imponibile portando nuove entrate nelle casse dello Stato.

Occorre evitare il default attraverso misure per la crescita, le riforme strutturali, che non devono essere interpretate come incremento della pressione fiscale, una profonda riforma della pubblica amministrazione accompagnata dalla razionalizzazione della spesa pubblica (trattare il portafoglio pubblico come se fosse il proprio), e soprattutto una seria lotta contro ogni forma di spreco di denaro pubblico, contro la realizzazione di opere inutili, cercando di sfruttare al meglio il patrimonio pubblico esistente, attraverso il dialogo istituzionale, fuori e sopra ogni logica e colore partitico. Occorre veramente un importante cambiamento di mentalità che comporta, giocoforza, una vera e propria rivoluzione nella politica, che non è antipolitica, ma intelligenza umana. Ognuno deve fare la sua parte, iniziando dal sistema bancario (graziato dalla politica ma non dai mercati) e dalla BCE, di cui è Governatore l’italiano M. Draghi, abbandonando la logica del profitto nel breve periodo, puntando allo sviluppo del sistema produttivo nostrano. Bisogna prepararsi all’imprevedibile, sembra un paradosso, ma è così.

La Grecia non uscirà dall’Euro, ma l’Italia rimane un Paese a elevato rischio.

 

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Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Napoli Num. 45 dell' 8 giugno 2011
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