Napoli - Caso San Gennaro - Manifestazione in Duomo Pro Deputazione di San Gennaro il 5 marzo - Cenni storici sulla Cappella del Tesoro |
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Scritto da Redazione |
Mercoledì 02 Marzo 2016 00:06 |
Bersaglio il decreto del Viminale che cambia la forma giuridica della Deputazione del Tesoro (dal '600 titolare delle reliquie e dell'ingente patrimonio di donazioni fatte al Patrono), consentendo l'ingresso di rappresentanti della Curia.
I manifestanti (1.200 le adesioni finora annunciate su Fb) saranno sabato pomeriggio in cattedrale. Contro il decreto del Viminale, la Deputazione - organismo composto da discendenti delle famiglie nobili della città, ma presieduto dal sindaco di Napoli - ha già annunciato un ricorso al Tar. Ieri il primo cittadino Luigi de Magistris ha detto di essere contrario alla strada intrapresa dal Viminale: «Mi impegnerò per fare i necessari passi giuridici, amministrativi e istituzionali affinché non ci siano strappi e si continui a lavorare per aprire una nuova fase, ma senza snaturare la storia che ci ha consegnato San Gennaro». È forte la polemica della Deputazione anche verso il cardinale Crescenzio Sepe. Il delegato per gli affari legali dell'organismo, Riccardo Imperiali di Francavilla, in una intervista ai colleghi de «Il Mattino» afferma che la vicenda è «solo l'ennesimo tentativo del cardinale di impossessarsi della Deputazione e delle reliquie di San Gennaro». Accuse già respinte nei giorni scorsi dalla curia. «Secondo me - dice ancora il primo cittadino - si deve trovare una formula che non vada a turbare equilibri consolidati. Penso che si debba lavorare per la scrittura di un nuovo statuto, che una nuova fase si debba necessariamente aprire, ma senza che si vada a snaturare la storia che ci ha consegnato il nostro Santo Patrono che mi pare porti bene». Il sindaco - nella sostanza - sarebbe anche pronto a limare lo statuto ma non nella direzione di inserire la Curia. Le reazione della città sono tutte o quasi contro l'iniziativa del ministro, che per alcuni è stata in qualche modo provocata dalla stessa Curia napoletana. Guido Donatone, presidente di Italia Nostra, per esempio, è durissimo. «È il sindaco, a nome del popolo, il vero padrone di casa della Cappella, infatti aspetta il cardinale sulla soglia e lo invita a entrare in luogo che non gli appartiene» dice Donatone. «Per sottolineare - spiega ancora Donatone - che la Cappella appartiene alla cittadinanza, per esaltare e sancire la sua laicità e quindi la netta autonomia della Deputazione del Tesoro di San Gennaro». Donatone fa altre notazioni storiche: «E' curioso però che la protezione si sia dovuta estendere e prevedere anche dalla Curia, in quanto risulta che essa nei secoli ha sempre tentato di esercitare la sua ingerenza sulla Deputazione: è in gioco in sostanza la gestione dell'evento prodigioso del miracolo del santo». La protesta è virale e gira a palla su Twitter con l'hashtag San Gennaro. E i commenti e le aesioni sono inequivocabili. «Attacco a #Napoli nostra#cultura e nostre #tradizioni #GiulemanidaSGennaro». E ancora: «Maurizio Ponticello scrive«#Alfano cardinale Sepe San Gennaro è della città, la curia non lo tocchi! dopo toccherà al #tesorodisangennaro?». Su fb è nata subito la pagina da titolo emeblematico: «Giu le mani da San Gennaro» che conta già centinaia di adesioni e tutte nella stessa direzione. Torniamo al tema più politica, quella di oggi dovrebbe essere una giornata importante con lo stesso de Magistris protagonista in quanto presidente della Deputazione che dovrebbe incontrare i membri della stessa e stabilire il da farsi.
Cenni storici sulla Cappella del Tesoro di San Gennaro Grazie a diverse bolle pontificie, la reale cappella non appartiene alla curia arcivescovile, bensì alla città di Napoli rappresentata da un'antica istituzione civica, ancora oggi esistente, la "Deputazione", e dai sedili di Napoli.
Dal 2003 alcuni ambienti adiacenti alla cappella ospitano il museo del Tesoro di San Gennaro, esponendo ex-voto e donazioni offerte al santo nel corso di circa sette secoli da parte di re, papi e illustri personalità dell'aristocrazia napoletana ed europea. La "Deputazione del Tesoro"
La nascita della cappella è legata agli anni difficili che visse Napoli durante la prima metà del XVI secolo, caratterizzato per l'appunto da conflitti bellici oltre confine ed interni, crisi di pestilenza ed eruzioni vulcaniche. I conflitti interni avvennero intorno al 1527, quando il pretendente angioino, approfittando anche dell'assenza del viceré di Napoli, impegnato con le truppe di Carlo V, e della morte del suo luogotenente Andrea Carafa conte di Sanseverino, tentò di riconquistare il Regno di Napoli sbarcando coi suoi soldati a Gaeta e a Salerno. A seguito di questi eventi, il generale Lautrec, al comando dei francesi, arrivò alle mura di Napoli e la cinse in assedio, impedendo il rifornimento delle derrate alimentari e, secondo alcuni storici tra cui Pietro Giannone, avvelenando anche le acque che abbeveravano la città. Ciò provocò una recrudescenza della pestilenza che stava già decimando i napoletani giungendo sino a circa 250.000 morti.
Nello stesso periodo anche il Vesuvio contribuì a devastare la città con una eruzione accompagnata da una serie di terremoti quotidiani che la dilaniarono.
A seguito di questi eventi il popolo napoletano decise di rivolgersi al proprio santo protettore e il 13 gennaio del 1527, anniversario della traslazione delle ossa di San Gennaro da Montevergine (Avellino) a Napoli, fecero voto di erigergli una nuova e più bella cappella nel duomo, in quanto la vecchia era relegata in una torre angusta posizionata a sinistra dell'entrata della cattedrale. L'impegno fu assunto solennemente e per dare ancora più valenza al voto i napoletani redassero il documento, sottoscritto dagli "eletti di città", davanti a un notaio, sull'altare maggiore della cattedrale con pubblico istrumento rogato da notar Vincenzo de Bossis.
In questo modo, per ottenere la liberazione dai tre flagelli, i rappresentanti dei cinque sedili di Napoli nobili (Capuano, Nido, Montagna, Portanova e Porto) più il rappresentante del sedile del Popolo fecero voto di offrire mille ducati per il tabernacolo eucaristico e diecimila per la costruzione di una nuova cappella in onore di San Gennaro.
Il 5 febbraio del 1601, gli "eletti della città" nominarono una commissione laica di dodici membri, due rappresentanti per ognuno dei seggi cittadini, denominata "Deputazione" per la costruzione della nuova cappella di San Gennaro. Alla commissione venne affidato il compito di promuovere e curare la costruzione e la decorazione della nuova cappella.
Il finanziamento dell'opera inizialmente prevedeva lo stanziamento di 10.000 scudi, ma poi ha raggiunto la cifra di oltre 480.000, senza ottenere alcun contributo dal Vaticano.
I rapporti con la Santa Sede ed il diritto alla laicità
Istituita la "Deputazione della reale cappella del Tesoro", sin dal principio l'organismo ha tenuto ad affermare e a difendere il diritto di patronato della città di Napoli sulla cappella proprio perché questa era diretta espressione della volontà dei napoletani e quindi espressione della laicità, autonomia ed indipendenza rispetto alla curia arcivescovile.
Nel 1605 la Deputazione, infatti, ottenne la bolla di fondazione da papa Paolo V e dopo tre anni, l'8 giugno 1608, iniziarono i lavori di costruzione del luogo sacro.
I primi problemi, però, arrivarono in corso d'opera con il cardinale arcivescovo Francesco Boncompagni che si oppose fermamente all'esenzione della Deputazione dalla giurisdizione dell'ordine diocesano.
Anche nel 1799, come riporato in archivio sul Nostro giornale, ci fu la famosa svolta Giacobina del Nostro Patrono. Eleonora de Fonseca Pimentel, la prima direttrice, riporta sul numero 26 del 9 maggio 1799 (di lì a un mese sarebbe crollata la Repubblica Napoletana) dello scioglimento del Sangue da parte del Santo patrono, interpretato come appoggio alla Repubblica. Caso vuole, che con la restaurazione dei Borboni guidata dalle truppe Sanfediste del Cardinale Ruffo, San Gennaro fu detronizzato da Santo Patrono della città a favore di Sant'Antonio per ben 15 anni, fino al 1814. Dumas racconta anche dell’esecuzione di un busto del santo, che con una corda al collo venne trascinato per strada, tra lo scherno della gente e poi gettato in mare, “I lazzari proclamarono nuovo santo patrono e nuovo generalissimo di tutti gli eserciti napoletani Sant’Antonio da Padova…” A memoria di quanto accaduto possiamo trovare documenti, disegni e dipinti dell’epoca, in cui si vede Sant’Antonio rincorrere e scacciare San Gennaro con un bastone Ulteriori problemi si ebbero dopo l'ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli il 17 febbraio 1861 quando si pubblicarono alcuni decreti luogotenenziali relativi a benefici e cappellanie laicali. La Deputazione si batté perché le fosse riconosciuto il diritto di patronato laicale e il 13 maggio del 1861 la reale cappella del tesoro di San Gennaro fu dichiarata esente dalla precedente legge del 17 febbraio essendo stata riconosciuta Istitutione sui generis. Rimase dunque intatta la laicità della proprietà che ha resistito anche alle leggi post unitarie del 7 luglio 1866 e del 15 agosto 1867, con le quali fu negato il riconoscimento di laicità a tutti gli ordini e alle congregazioni religiose regolari, ai conservatori musicali e ai ritiri che comportassero vita in comune e avessero carattere ecclesiastico. Tutti i luoghi di proprietà di tali enti soppressi furono incamerati dal demanio statale e fu sancita l'incapacità per ogni ente morale ecclesiastico di possedere immobili, fatte salve le parrocchie. La natura laica della Deputazione sancita dalle bolle pontificie fu mantenuta grazie anche ad un appassionato memoriale inviato alla Camera del governo italiano e sottoscritto dal presidente Rodrigo Nolli, allora sindaco di Napoli, e da tutti i deputati, con il quale si ricordava la natura laica della Deputazione, il diritto di patronato ottenuto da tre bolle pontificie e l'aspra guerra sostenuta contro la curia arcivescovile di Napoli per il mantenimento dello stato giuridico e la piena autonomia.
Il 15 agosto 1927, papa Pio XI con la bolla Neapolitanae Civitatis gloria riconosceva che le bolle pontificie di papa Paolo V e Urbano VIII avevano definito il diritto di patronato della città di Napoli sulla cappella, l'amministrazione dei beni, l'elezione dei cappellani coi relativi diritti e doveri, il servizio del culto divino ed altri privilegi ad essa inerenti.
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