Napoli - Attesa per il Miracolo di San Gennaro |
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Scritto da Giovanni Di Cecca |
Lunedì 19 Settembre 2016 08:53 |
Dopo le manifestazioni a favore della Deputazione che come accade da 5 secoli, almeno 1 volta al secolo la Chiesa cerca di mettere le mani sul Tesoro di San Gennaro, oggi tutta Napoli si riunisce in Duomo per attendere il miracolo, il segno di quella presenza immanente e discreta del santo che con la sua presenza infonde coraggio al popolo napoletano, e soprattutto lo difende dal Vesuvio e dal Terremoto.
Infatti come molti napoletani ricorderanno il miracolo del 19 settembre 1980 (San Gennaro fa ter miracoli l'anno, il 19 settembre, giorno del martirio nella Solfatara, il 16 dicembre per la fine della Peste 1631, ed il sabato che precede la prima domenica di maggio per ricordare il ritorno diSan Gennaro a Napoli dopo "l'esilio" di Montevergine) che non avvenne, e quel 23 novembre dello stesso anno, Napoli conobbe la tragedia del terremoto che distrusse Conza della Campania. Tra realtà, fantasia e mistero, San Gennaro è anche indissolubilmente legato alla Repubblica Napoletana, come riportato nell'articolo di Eleonora de Fonseca Pimentel del 4 maggio 1799, San Gennaro di Fece Giacobino e benedisse la Repubblica. Tant'è che dopo la restaurazione dei Borbone, San Gennaro fu cacciato e fu messo a patrono di Napoli Sant'Antonio da Padova. Ma chi è San Gennaro il Santo Patrono di Napoli, della Campania, e dei Napoletani di tutto il mondo? Nascita
Convenzionalmente si crede che San Gennaro sia nato verso l'anno 272. Le diverse passiones Ianuariane tacciono sul luogo di nascita, e così pure il Martirologio romano. Tuttavia, essendo stato vescovo di Benevento, una tradizione antica e sempre tramandata dalla Chiesa beneventana, vuole che il martire sia nato appunto nella città sannita.
Vicende del santo
San Gennaro era il vescovo di Benevento e si recò insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo in visita ai fedeli a Pozzuoli. Il diacono di Miseno Sossio - già amico di Gennaro che lo era venuto a trovare in passato a Miseno per discutere di fede e leggi divine - volendo recarsi ad assistere alla visita pastorale, fu invece arrestato lungo la strada per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania. Gennaro insieme a Festo e Desiderio si recò allora in visita dal prigioniero, ma, avendo intercesso per la sua liberazione ed avendo fatto professione di fede cristiana, furono anch'essi arrestati e da Dragonzio condannati ad essere sbranati dai leoni nell'anfiteatro di Pozzuoli. Il giorno dopo, tuttavia, per l'assenza del governatore stesso, impegnato altrove o, secondo altri, perché si era accorto che il popolo dimostrava simpatia verso i condannati e quindi per evitare disordini, il supplizio fu sospeso. Secondo la tradizione invece, il supplizio fu mutato per l'avvenimento di un miracolo, infatti, le fiere si inginocchiarono al cospetto dei condannati, dopo una benedizione fatta da Gennaro. Dragonzio comandò allora che a Gennaro e ai suoi compagni venisse troncata la testa. Condotti nei pressi del Forum Vulcani (l'attuale Solfatara di Pozzuoli), essi furono decapitati nell'anno 305 (in photo la pietra dove fu decapitato San Gennaro). La stessa sorte toccò anche a Procolo, diacono della chiesa di Pozzuoli, e ai due laici Eutiche e Acuzio che avevano osato criticare la sentenza di morte per i quattro. Gli Atti affermano che nel luogo del supplizio sorse una chiesa in ricordo del loro martirio, mentre il corpo di Gennaro sarebbe stato sepolto nell'Agro Marciano e solo nel V secolo traslato dal duca-vescovo di Napoli Giovanni I nelle Catacombe di San Gennaro. Negli Atti Vaticani si narrano molti altri episodi mitici. I più conosciuti narrano di Gennaro e dei suoi compagni che si sarebbero recati a Nola, dove avrebbero incontrato il perfido giudice Timoteo. Questi, avendo sorpreso Gennaro mentre faceva proselitismo, lo avrebbe imprigionato e torturato. Poiché le tremende torture inflittegli non sortivano effetto, lo avrebbe infine gettato in una fornace ardente; una volta riaperta la fornace, non solo Gennaro vi uscì illeso e senza che neppure le sue vesti fossero state minimamente intaccate dal fuoco, ma le fiamme investirono i pagani venuti ad assistere al supplizio. Caduto malato e nonostante fosse guarito da Gennaro, Timoteo non mostrò alcuna gratitudine ma lo fece condurre all'anfiteatro di Pozzuoli affinché fosse sbranato dalle fiere. Per questi racconti è chiara la derivazione dalla Bibbia, in modo particolare dal Libro del profeta Daniele, a cui il redattore degli Atti Vaticani deve essersi ispirato.
Durante il cammino verso il luogo dell'esecuzione, situato presso la Solfatara, un mendicante chiese a Gennaro un lembo della sua veste, da conservare come reliquia. Gennaro rispose che, una volta eseguita la sentenza, avrebbe potuto prendere il fazzoletto con cui sarebbe stato bendato.
La tradizione vuole che, mentre il carnefice si preparava a vibrare il colpo mortale, Gennaro si fosse portato un dito alla gola per sistemarsi il fazzoletto. In quell'istante il carnefice calò la scure, recidendo anche il dito. Quella notte, Gennaro apparve in sogno a colui che era incaricato di portare via il corpo, invitandolo a raccogliere anche il dito.
Sempre secondo la tradizione, subito dopo la decapitazione sarebbe stato conservato del sangue, come era abitudine a quel tempo, raccolto da una pia donna di nome Eusebia che lo racchiuse in due ampolle; esse sono divenute un attributo iconografico tipico di san Gennaro. Il racconto della pia donna è tuttavia recente, e compare pubblicato per la prima volta solo nel 1579, nel volume del canonico napoletano Paolo Regio su "Le vite de' sette Santi Protettori di Napoli".
I vari ed interessanti testi agiografici (inni, carmi e lodi) in onore di san Gennaro e dei suoi compagni martiri si possono consultare nella Bibliotheca Sanctorum edita dalla Pontificia Università Lateranense nel 1965.
La datazione Documenti liturgici molto antichi, come il calendario cartaginese (redatto poco dopo il 505) ed il Martirologio Geronimiano del V secolo assegnano come data del martirio di Gennaro e dei suoi compagni il 19 settembre; indicano invece nel 13 aprile la data della prima traslazione dei resti del santo. Anche in un altro martirologio risalente all'VIII secolo, redatto dal monaco inglese Beda, il 19 settembre viene indicato come data del martirio. Nel calendario marmoreo di Napoli la data del 19 settembre viene indicata come "dies natalis" di San Gennaro.
Tutte queste fonti, e numerose altre ancora, attestano che la venerazione per san Gennaro ha origini antichissime che risalgono all'epoca del suo martirio o al più tardi a quella della prima traslazione delle sue spoglie, avvenuta nel V secolo.
Storia delle reliquie
Il duca e vescovo di Napoli Giovanni I trasportò fra il 413 e il 431 le reliquie del santo dall'Agro Marciano nella parte inferiore delle catacombe napoletane di Capodimonte, le quali assunsero così il nome del santo, e qui esse furono centro di vivissimo culto.
Il principe longobardo di Benevento Sicone I, assediando la città di Napoli nell'831, ne approfittò per impossessarsi dei resti mortali portandoli nella sua città, sede episcopale. Le sante reliquie furono deposte nella cattedrale - che allora si chiamava Santa Maria di Gerusalemme - ove restarono fino al 1154. In quell'anno infatti, considerando che la città di Benevento non era più sicura, il normanno Guglielmo I il Malo provvide affinché esse venissero traslate nell'Abbazia di Montevergine.
A Montevergine però la devozione dei pellegrini che vi si recavano era rivolta soprattutto a San Guglielmo e alla popolarissima icona bizantina della Madonna chiamata "Mamma Schiavona", sicché di San Gennaro si perse ben presto la memoria e addirittura la cognizione del suo luogo di sepoltura. A Napoli invece rimaneva vivissimo il culto per San Gennaro, anche per la presenza delle altre sue reliquie: il capo e le ampolle con il suo sangue.
Carlo II d'Angiò dopo aver fatto eseguire dai maestri orafi francesi Stefano Godefroy, Guglielmo di Verdelay e Milet d'Auxerre un preziosissimo busto-reliquiario in argento dorato per contenere la testa e le ampolle con il sangue del santo, espose per la prima volta la reliquia alla pubblica venerazione nel 1305. Suo figlio Roberto d'Angiò invece fece realizzare la teca d'argento che custodisce le due ampolle del sangue. Tuttavia la liquefazione del sangue non è attestata prima del 17 agosto 1389, allorché il miracolo si compì durante una solenne processione intrapresa per una grave carestia.
Quando a Montevergine per merito del cardinale Giovanni di Aragona furono ritrovate le ossa di San Gennaro, collocate al di sotto dell'altare maggiore, la potente famiglia dei Carafa si impegnò, grazie soprattutto all'interessamento del cardinale Oliviero e con il sostegno di suo fratello l'arcivescovo napoletano Alessandro Carafa, affinché le reliquie tornassero a Napoli, la qual cosa avvenne nel 1497, non senza l'opposizione da parte dei monaci di Montevergine. Come degno luogo per ospitarle, il cardinale Oliviero Carafa fece costruire nel Duomo di Napoli, al di sotto dell'altare maggiore, una cripta d'eccezione in puro stile rinascimentale: la Cappella del Succorpo.
A seguito di una terribile pestilenza che imperversò a Napoli fra il 1526 ed il 1529, i napoletani fecero voto a San Gennaro di edificargli una nuova cappella all'interno del Duomo (documento storico in foto sotto). Benché i lavori fossero iniziati solo nel 1608 e siano durati quasi quarant'anni, la sfolgorante e ricca Cappella del Tesoro di San Gennaro venne infine consacrata nel 1646. Al di sopra del suo splendido cancello realizzato da Cosimo Fanzago, figura l'iscrizione Divo Ianuario e fame bello peste ac Vesaevi igne miri ope sanguinis erepta Neapolis civi patr. vindici ("A San Gennaro, al cittadino salvatore della patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra"). Nel 1633 la città di Napoli, sulla cappella del tesoro, nel suo Duomo scolpiva la sua riconoscenza con la seguente dedica: Divo Jannuario - Patriae, regnique praesentissimo tutelari - grata Neapolis.
Documento originale dell'atto notarile tra San Gennaro e la Citta di Napoli
Dettaglio
Il 25 febbraio 1964 il cardinale arcivescovo Alfonso Castaldo fece la ricognizione canonica delle venerate reliquie: "Le ossa furono trovate ben custodite, in un'olla di forma ovoidale che reca incisa l'iscrizione calligrafica, Corpus Sancti Jannuarii Ben. E.P.". Una ricognizione scientifica eseguita il 7 marzo 1965 dal professore G. Lambertini stabilì che il personaggio a cui appartengono le ossa è da individuarsi in un uomo di età giovane (35 anni) di statura molto alta (1,90 m).
La reliquia
Storicamente, la prima notizia documentata dell'ampolla contenente la presunta reliquia del sangue di San Gennaro risale soltanto al 1389, come riportato nel Chronicon Siculum (ma dal testo si può dedurre che doveva avvenire già da molto tempo): nel corso delle manifestazioni per la festa dell'Assunta di quell'anno, vi fu l'esposizione pubblica delle ampolle contenenti il cosiddetto "sangue di San Gennaro". Il 17 agosto 1389 vi fu una grandissima processione per assistere al miracolo: il liquido conservato nell'ampolla si era liquefatto "come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo". La cronaca dell'evento sembra suggerire che il fenomeno si verificasse allora per la prima volta. Del resto, la Cronaca di Partenope, precedente di qualche anno (1382), pur parlando di diversi "miraculi" attribuiti alla potenza di San Gennaro, non menziona mai una reliquia di sangue del martire.
Oggi le due ampolle, fissate all'interno di una piccola teca rotonda realizzata con una larga cornice in argento e provvista di un manico, sono conservate nella cassaforte dietro l'altare della Cappella del Tesoro di San Gennaro. Delle due ampolle, una è riempita per 3/4, mentre l'altra più alta è semivuota poiché parte del suo contenuto fu sottratto da re Carlo di Borbone che, divenuto re di Spagna, lo portò con sé. Tre volte l'anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19 settembre e per tutta l'ottava delle celebrazioni in onore del patrono, ed il 16 dicembre), durante una solenne cerimonia religiosa guidata dall'arcivescovo, i fedeli accorrono per assistere al miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro. La liquefazione del tessuto durante la cerimonia è ritenuto foriero di buoni auspici per la città; al contrario, si ritiene che la mancata liquefazione sia presagio di eventi fortemente negativi e drammatici per la città.
Un analogo fenomeno, anch'esso ritenuto miracoloso, si suppone che avvenga anche a Pozzuoli, dove, nella chiesa di San Gennaro presso la Solfatara, su di una lastra marmorea su cui si afferma che Gennaro fosse stato decapitato e che sia impregnata del suo sangue, ancora oggi c'è chi sostiene che delle tracce rosse diventino di colore più intenso e trasuderebbero in concomitanza con il miracolo più importante che avviene a Napoli.
Secondo studi recenti però sembra che la pietra sia in realtà il frammento di un altare paleocristiano di due secoli posteriore alla morte del martire sul quale vi siano depositate tracce di vernice rossa e di cera e che il tutto sia solo frutto di una suggestione collettiva.
Studi ed indagini scientifiche
A seguito della riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II, la Chiesa apportò delle modifiche al calendario liturgico (che comprende solennità, feste, memorie obbligatorie e memorie facoltative) rendendo obbligatorie alcune memorie di santi e facoltative altre prima obbligatorie: così la memoria liturgica di San Gennaro (che sino ad allora era obbligatoria in tutta la Chiesa universale) fu trasformata in memoria facoltativa al di fuori dell'arcidiocesi di Napoli.
L'autorità ecclesiastica affermò che lo scioglimento del sangue di San Gennaro, pur essendo scientificamente inspiegabile, non obbliga i fedeli cattolici a prestare l'assenso della propria fede: tale evento venne definito come un fatto prodigioso e venne approvata la venerazione popolare, essendo impossibile, allo stato dell'attuale conoscenza dei fatti, un giudizio scientifico che spieghi il fenomeno della liquefazione.
Una prima analisi spettroscopica sull'ampolla fu fatta dai professori Sperindeo e Januario (25 settembre 1902) e rivelò lo spettro dell'ossiemoglobina
Tre ricercatori del CICAP (Franco Ramaccini, Sergio Della Sala e Luigi Garlaschelli) hanno fornito una prova scientifica sull'ottenibilità di uno "scioglimento" simile a quello che è alla base del fenomeno del miracolo. Lo spirito dell'indagine del CICAP non è stato quello di determinare la composizione della sostanza nell'ampolla, ma di riprodurre i comportamenti più documentati della reliquia. Inoltre l'esperimento è servito a dimostrare che non solo è possibile riprodurre quei comportamenti con i mezzi attuali, ma anche che fosse possibile farlo all'epoca della sua comparsa, confutando così le affermazioni sull'irriproducibilità del suo comportamento o sull'impossibilità della scienza di spiegarlo. Il loro lavoro è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature ("Working bloody miracles", 13 settembre 1991). Nell'articolo si avanza l'ipotesi secondo cui all'origine del cosiddetto "miracolo di San Gennaro" vi sia il fenomeno noto come tissotropia, ossia la proprietà di alcuni materiali, detti appunto tissotropici, di diventare meno viscosi se sottoposti a una sollecitazione meccanica, come piccole scosse o vibrazioni, e di tornare allo stato precedente se lasciati indisturbati. Un esempio di questa proprietà è la salsa ketchup, che si può mostrare in uno stato quasi solido fino a quando delle scosse non la fanno diventare d'un tratto molto più liquida. Franco Ramaccini del CICAP ha sostenuto che è ragionevole avanzare l'ipotesi della tissotropia poiché durante la cerimonia che precede lo scioglimento del sangue di San Gennaro il sacerdote agita e muove l'ampolla tenendola con le mani.
I ricercatori del CICAP hanno realizzato l'esperimento ottenendo una sostanza tissotropica dal colore rosso sangue con il solo utilizzo di sostanze e materiali reperibili all'epoca a cui risalirebbero le ampolle (fine Trecento):
Secondo un articolo a firma A. Ruggeri comparso sul web nel marzo 2005, il gel tissotropico ottenuto da Garlaschelli manteneva le sue proprietà tissotropiche per solo 2 anni. In merito, Garlaschelli ha affermato: Circa la durata del nostro gel: Non mi sono mai preoccupato della stabilità nel tempo del gel stesso. So che alcuni campioni hanno resistito per dieci anni. Altri durano molto meno. Non ho mai trovato un esperto di colloidi che mi desse dei suggerimenti. Ma del resto, mi sono anche preoccupato poco, addirittura, di sigillare in modo perfetto i miei boccettini.
All'indomani della pubblicazione dell'articolo del CICAP l'ufficio stampa della curia di Napoli replicò con la seguente domanda: «Già, ma perché allora nel maggio 1976 il sangue non si sciolse affatto, malgrado otto giorni di attesa?».
Al contrario in altre occasioni il fenomeno della liquefazione si era manifestato già prima dell'apertura della teca che custodisce le ampolle. Un analogo fenomeno avviene senza scuotimenti a Ravello in un'ampolla che conterrebbe il sangue di san Pantaleone.
Alcune analisi spettroscopiche sostengono che nelle ampolle conservate nel Duomo di Napoli sia presente emoglobina umana, anche se una risposta chiara sulla natura della sostanza potrebbe essere data solo da un'analisi diretta. Il CICAP ha espresso perplessità sul metodo con cui tali analisi sono state condotte:
« I risultati di quella spettroscopia non sono stati sottoposti al giudizio di referee di una rivista scientifica; la loro qualità, nella più favorevole delle ipotesi, richiede troppo il contributo dell'interpretazione di chi li osserva, per costituire un argomento convincente. Inesplicabilmente è stato impiegato uno spettrometro a prisma, invece di un moderno spettrometro elettronico. Più spettri, ottenuti a qualche minuto di distanza l'uno dall'altro vengono interpretati come rivelatori ognuno di un diverso derivato dell'emoglobina, e spiegati con un miracolo in progresso, mentre, si noti bene, la sostanza era da tempo in fase liquida, e non in liquefazione. »
Un esperimento condotto dal dipartimento di Biologia Molecolare dell'Università Federico II di Napoli su un'ampolla di sangue, una reliquia simile a quella conservata nel duomo, ha mostrato che essa contiene effettivamente sangue ed effettivamente può cambiare stato, ma che questa proprietà è posseduta, nelle stesse condizioni di conservazione, dal sangue di qualsiasi persona. Studi sono ancora necessari per comprenderne a fondo la fenomenologia.
Photogallery - Il Miracolo di San Gennaro del 1992
Photo by Salvatore Di Cecca / MagnaPicture.com --- Archivio Storico dicecca.net - MONITORE NAPOLETANO
Short URL: http://2cg.it/3tr NascitaConvenzionalmente si crede che San Gennaro sia nato verso l'anno 272. Le diverse passiones Ianuariane tacciono sul luogo di nascita, e così pure il Martirologio romano. Tuttavia, essendo stato vescovo di Benevento, una tradizione antica e sempre tramandata dalla Chiesa beneventana, vuole che il martire sia nato appunto nella città sannita. Vicende del santoMartirio di San Gennaro, Girolamo Pesce, 1727.
Il fatto che portò alla consacrazione episcopale di Gennaro sarebbe avvenuto all'inizio del IV secolo, durante la persecuzione dei cristiani da parte dell'imperatore Diocleziano. San Gennaro era il vescovo di Benevento e si recò insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo in visita ai fedeli a Pozzuoli. Il diacono di Miseno Sossio - già amico di Gennaro che lo era venuto a trovare in passato a Miseno per discutere di fede e leggi divine - volendo recarsi ad assistere alla visita pastorale, fu invece arrestato lungo la strada per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania. Gennaro insieme a Festo e Desiderio si recò allora in visita dal prigioniero, ma, avendo intercesso per la sua liberazione ed avendo fatto professione di fede cristiana, furono anch'essi arrestati e da Dragonzio condannati ad essere sbranati dai leoni nell'anfiteatro di Pozzuoli. Il giorno dopo, tuttavia, per l'assenza del governatore stesso, impegnato altrove o, secondo altri, perché si era accorto che il popolo dimostrava simpatia verso i condannati e quindi per evitare disordini, il supplizio fu sospeso. Secondo la tradizione invece, il supplizio fu mutato per l'avvenimento di un miracolo, infatti, le fiere si inginocchiarono al cospetto dei condannati, dopo una benedizione fatta da Gennaro. Dragonzio comandò allora che a Gennaro e ai suoi compagni venisse troncata la testa. Condotti nei pressi del Forum Vulcani (l'attuale Solfatara di Pozzuoli), essi furono decapitati nell'anno 305. La stessa sorte toccò anche a Procolo, diacono della chiesa di Pozzuoli, e ai due laici Eutiche e Acuzio che avevano osato criticare la sentenza di morte per i quattro. Gli Atti affermano che nel luogo del supplizio sorse una chiesa in ricordo del loro martirio, mentre il corpo di Gennaro sarebbe stato sepolto nell'Agro Marciano[1] e solo nel V secolo traslato dal duca-vescovo di Napoli Giovanni I nelle Catacombe di San Gennaro. Negli Atti Vaticani si narrano molti altri episodi mitici. I più conosciuti narrano di Gennaro e dei suoi compagni che si sarebbero recati a Nola, dove avrebbero incontrato il perfido giudice Timoteo. Questi, avendo sorpreso Gennaro mentre faceva proselitismo, lo avrebbe imprigionato e torturato. Poiché le tremende torture inflittegli non sortivano effetto, lo avrebbe infine gettato in una fornace ardente; una volta riaperta la fornace, non solo Gennaro vi uscì illeso e senza che neppure le sue vesti fossero state minimamente intaccate dal fuoco, ma le fiamme investirono i pagani venuti ad assistere al supplizio[2]. Caduto malato e nonostante fosse guarito da Gennaro, Timoteo non mostrò alcuna gratitudine ma lo fece condurre all'anfiteatro di Pozzuoli affinché fosse sbranato dalle fiere. Per questi racconti è chiara la derivazione dalla Bibbia, in modo particolare dal Libro del profeta Daniele, a cui il redattore degli Atti Vaticani deve essersi ispirato. Durante il cammino verso il luogo dell'esecuzione, situato presso la Solfatara, un mendicante chiese a Gennaro un lembo della sua veste, da conservare come reliquia. Gennaro rispose che, una volta eseguita la sentenza, avrebbe potuto prendere il fazzoletto con cui sarebbe stato bendato. La tradizione vuole che, mentre il carnefice si preparava a vibrare il colpo mortale, Gennaro si fosse portato un dito alla gola per sistemarsi il fazzoletto. In quell'istante il carnefice calò la scure, recidendo anche il dito. Quella notte, Gennaro apparve in sogno a colui che era incaricato di portare via il corpo, invitandolo a raccogliere anche il dito. Sempre secondo la tradizione, subito dopo la decapitazione sarebbe stato conservato del sangue, come era abitudine a quel tempo, raccolto da una pia donna di nome Eusebia che lo racchiuse in due ampolle; esse sono divenute un attributo iconografico tipico di san Gennaro. Il racconto della pia donna è tuttavia recente, e compare pubblicato per la prima volta solo nel 1579, nel volume del canonico napoletano Paolo Regio su "Le vite de' sette Santi Protettori di Napoli". I vari ed interessanti testi agiografici (inni, carmi e lodi) in onore di san Gennaro e dei suoi compagni martiri si possono consultare nella Bibliotheca Sanctorum edita dalla Pontificia Università Lateranense nel 1965. La datazioneGli Atti Bolognesi indicano il 305 come l'anno del martirio. Documenti liturgici molto antichi, come il calendario cartaginese (redatto poco dopo il 505) ed il Martirologio Geronimiano del V secolo assegnano come data del martirio di Gennaro e dei suoi compagni il 19 settembre; indicano invece nel 13 aprile la data della prima traslazione dei resti del santo. Anche in un altro martirologio risalente all'VIII secolo, redatto dal monaco inglese Beda, il 19 settembre viene indicato come data del martirio. Nel calendario marmoreo di Napoli la data del 19 settembre viene indicata come "dies natalis" di San Gennaro. Tutte queste fonti, e numerose altre ancora, attestano che la venerazione per san Gennaro ha origini antichissime che risalgono all'epoca del suo martirio o al più tardi a quella della prima traslazione delle sue spoglie, avvenuta nel V secolo. Storia delle reliquieBassorilievo raffigurante la traslazione del corpo di San Gennaro
Il duca e vescovo di Napoli Giovanni I trasportò fra il 413 e il 431 le reliquie del santo dall'Agro Marciano nella parte inferiore delle catacombe napoletane di Capodimonte, le quali assunsero così il nome del santo, e qui esse furono centro di vivissimo culto. Il principe longobardo di Benevento Sicone I, assediando la città di Napoli nell'831, ne approfittò per impossessarsi dei resti mortali portandoli nella sua città, sede episcopale. Le sante reliquie furono deposte nella cattedrale - che allora si chiamava Santa Maria di Gerusalemme - ove restarono fino al 1154. In quell'anno infatti, considerando che la città di Benevento non era più sicura, il normanno Guglielmo I il Malo provvide affinché esse venissero traslate nell'Abbazia di Montevergine. A Montevergine però la devozione dei pellegrini che vi si recavano era rivolta soprattutto a San Guglielmo e alla popolarissima icona bizantina della Madonna chiamata "Mamma Schiavona", sicché di San Gennaro si perse ben presto la memoria e addirittura la cognizione del suo luogo di sepoltura. A Napoli invece rimaneva vivissimo il culto per San Gennaro, anche per la presenza delle altre sue reliquie: il capo e le ampolle con il suo sangue. Carlo II d'Angiò dopo aver fatto eseguire dai maestri orafi francesi Stefano Godefroy, Guglielmo di Verdelay e Milet d'Auxerre un preziosissimo busto-reliquiario in argento dorato per contenere la testa e le ampolle con il sangue del santo, espose per la prima volta la reliquia alla pubblica venerazione nel 1305. Suo figlio Roberto d'Angiò invece fece realizzare la teca d'argento che custodisce le due ampolle del sangue. Tuttavia la liquefazione del sangue non è attestata prima del 17 agosto 1389, allorché il miracolo si compì durante una solenne processione intrapresa per una grave carestia. Reliquiario di San Gennaro nella Cappella del Succorpo
Quando a Montevergine per merito del cardinale Giovanni di Aragona furono ritrovate le ossa di San Gennaro, collocate al di sotto dell'altare maggiore, la potente famiglia dei Carafa si impegnò, grazie soprattutto all'interessamento del cardinale Oliviero e con il sostegno di suo fratello l'arcivescovo napoletano Alessandro Carafa, affinché le reliquie tornassero a Napoli, la qual cosa avvenne nel 1497[3], non senza l'opposizione da parte dei monaci di Montevergine. Come degno luogo per ospitarle, il cardinale Oliviero Carafa fece costruire nel Duomo di Napoli, al di sotto dell'altare maggiore, una cripta d'eccezione in puro stile rinascimentale: la Cappella del Succorpo. A seguito di una terribile pestilenza che imperversò a Napoli fra il 1526 ed il 1529, i napoletani fecero voto a San Gennaro di edificargli una nuova cappella all'interno del Duomo. Benché i lavori fossero iniziati solo nel 1608 e siano durati quasi quarant'anni, la sfolgorante e ricca Cappella del Tesoro di San Gennaro venne infine consacrata nel 1646. Al di sopra del suo splendido cancello realizzato da Cosimo Fanzago, figura l'iscrizione Divo Ianuario e fame bello peste ac Vesaevi igne miri ope sanguinis erepta Neapolis civi patr. vindici ("A San Gennaro, al cittadino salvatore della patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra"). Nel 1633 la città di Napoli, sulla cappella del tesoro, nel suo Duomo scolpiva la sua riconoscenza con la seguente dedica: Divo Jannuario - Patriae, regnique praesentissimo tutelari - grata Neapolis. Il 25 febbraio 1964 il cardinale arcivescovo Alfonso Castaldo fece la ricognizione canonica delle venerate reliquie: "Le ossa furono trovate ben custodite, in un'olla di forma ovoidale che reca incisa l'iscrizione calligrafica, Corpus Sancti Jannuarii Ben. E.P."[4]. Una ricognizione scientifica eseguita il 7 marzo 1965 dal professore G. Lambertini stabilì che il personaggio a cui appartengono le ossa è da individuarsi in un uomo di età giovane (35 anni) di statura molto alta (1,90 m). |