Taluni credevano che col mezzo delle sale patriotiche si potesse «attivare» la rivoluzione; e furono perciò stabilite. Ma come mai ciò si potea sperare? Io non veggo altro modo di attivare una rivoluzione che quello d’indurci il popolo: se la rivoluzione è attiva, il popolo si unisce ai rivoluzionari; se è passiva, convien che i rivoluzionari si uniscano al popolo, e, per unirvisi, convien che si distinguano il meno che sia possibile. Le sale patriotiche, e nell’uno e nell’altro caso, debbono essere le piazze.
Qual bene hanno mai esse prodotto in Francia? Hanno, direbbe Macchiavelli, fatto degenerare in sètte lo spirito di partito, che sempre vi è nelle repubbliche, e, come sempre suole avvenire, hanno spinto i princípi agli estremi, hanno fatto cangiar tre volte la costituzione, hanno a buon conto ritardata l’opera della rivoluzione e forse l’hanno distrutta. Senza societá patriotiche, le altre nazioni di Europa aveano dirette le loro rivoluzioni con princípi piú saggi ad un fine piú felice.
Ma l’abuso delle sale per attivare la rivoluzione dipendeva da un principio anche piú lontano. L’oggetto della democrazia è l’eguaglianza; e, siccome in ogni societá vi è una disuguaglianza sensibilissima tra le varie classi che la compongono, cosí si giunge al governo regolare o abbassando gli ottimati al popolo, o innalzando il popolo agli ottimati. Ma, siccome gli ottimati, insieme coi diritti e colle ricchezze, hanno ancora princípi e costumi, cosí, quando le cose si spingono all’estremo, non solo si sforzano a cedere i loro diritti e divider le loro ricchezze (il che sarebbe giusto), ma anche a rinunciare ai loro costumi.
Si volea fraternizzare col popolo, e per «fraternizzare» s’intendeva prendere i vizi del popolaccio, prender le sue maniere ed i suoi costumi; mezzi che possono talora riuscire in una rivoluzione attiva, in cui il popolo, in grazia dello spirito di partito, perdona l’indecenza, ma non mai in una rivoluzione passiva, in cui il popolo, libero da passioni tumultuose, è piú retto giudice del buono e dell’onesto. Doveasi perciò disprezzare il popolo? No, ma bastava amarlo per esserne amato, distruggere i gradi per non disprezzarlo, e conservar l’educazione per esserne stimato e per poter fargli del bene[1].
Ammirabile e fortunata è stata per questo la repubblica romana, in cui i patrizi, mentre cedevano ai loro diritti, forzavano il popolo ad amarli ed a rispettarli pei loro talenti e per le loro virtú: il popolo cosí divenne libero e migliore. Nella repubblica fiorentina tutte le rivoluzioni erano dirette da quella «fraternizzazione», che s’intendeva in Firenze come s’intese un tratto in Francia; e perciò la repubblica fiorentina ondeggiò tra perpetue rivoluzioni, sempre agitata e non mai felice: il popolo, o presto o tardi, si annoiava dei conduttori, che non aveano ottenuto il suo favore se non perché si erano avviliti, ed, annoiato dei suoi capi, si annoiava del governo, ch’esso di rado conosce per altro che per l’idea che ha di coloro che governano[2].
Si condussero taluni lazzaroni del Mercato nelle sale; ma questi erano per lo piú comperati e, come è facile ad intendersi, non servivano che a discreditare maggiormente la rivoluzione. Non sempre, anzi quasi mai, l’uomo del popolo è l’uomo popolare.
Le sale patriotiche attivavano la rivoluzione, attirando una folla di oziosi, che vi correva a consumar cosí quella vita di cui non sapeva far uso. I giovani sopra tutti corrono sempre ove è moto, e ripetono semplici tutto ciò che loro si fa dire. Intanto pochi abili ambiziosi si prevalgono del nome di conduttori e di moderatori di sale per acquistarsi un merito; e questo merito appunto, perché troppo facile, perché inutile alla nazione, un governo saggio non deve permettere o (ciò che val lo stesso) non deve curare: senza di ciò, i faziosi se ne prevaleranno per oscurare, per avvilire, per opprimere il merito reale. Taluni buoni, i quali vedevano l’abuso che delle sale si potea fare, credettero bene di opporre una sala all’altra e, se fosse stato possibile, riunirle tutte a quella ove lo spirito fosse piú puro ed i princípi fossero piú retti; ed il desiderio della medicina fu tanto, che si credette poter aver la salute dallo stesso male. Ma io lo ripeto: quando l’istituzione è cattiva, rende inutili gli uomini buoni, perché o li corrompe o li fa servire, illusi dall’apparenza del bene, ai disegni dei cattivi.
«I vostri maggiori - diceva il console Postumio al popolo di Roma - vollero che, fuori del caso che il vessillo elevato sul Tarpeio v’invitasse alla coscrizione di un esercito, o i tribuni indicessero un concilio alla plebe, o talun altro dei magistrati convocasse tutto il popolo alla concione, voi non vi dobbiate riunir cosí alla ventura ed a capriccio: essi credevano che, dovunque vi fosse moltitudine, ivi esser vi dovesse un legittimo rettore della medesima». In Francia le societá popolari, rese costituzionali da Robespierre, che avea quasi voluto render costituzionale l’anarchia, o non produssero sulle prime molti mali, o i mali che produssero non si avvertirono, perché, quando una nazione soffre moltissimi mali, spesso un male serve di rimedio all’altro. In Napoli, dove, per la natura della rivoluzione, le sale erano meno necessarie, si corruppero piú sollecitamente[3].
Chi è veramente patriota non perde il suo tempo a ciarlare nelle sale; ma vola a battersi in faccia all’inimico, adempie ai doveri di magistrato, procura rendersi utile alla patria coltivando il suo spirito ed il suo cuore: voi lo ritrovate ov’è il bisogno della patria, non dove la folla lo chiama; e, quando non ha verun dovere di cittadino da adempire, ha quelli di uomo, di padre, di marito, di figlio, di amico. Il governo non lo vede; ma guai a lui se non sa riconoscerlo e ritrovarlo! Il solo governo buono è quello agli occhi del quale ogni altro uomo non si può confondere con questo, né può usurpare la stima che se gli deve, se non facendo lo stesso; per cui la prima parte di un ottimo governo è quella di far sí che non vi sieno altre classi, altre divisioni che quelle della virtú, ed evitare a quest’oggetto tutte le istituzioni che potrebbero riunire i virtuosi a coloro che non lo sono, tutti i nomi finanche che potessero confonderli.
Io non confondo colle sale patriotiche quei «circoli d’istruzione», ove la gioventú va ad istruirsi, a prepararsi al maneggio negli affari, ad ascoltare le parole dei vecchi ed accendersi di emulazione ai loro esempi, a rendersi utile ai loro simili ed acquistare dai suoi coetanei quella stima che un giorno meriterá dalla patria e dal governo. In Napoli se ne era aperto uno, e con felici auspíci: il suo spirito era quello di proporre varie opere di beneficenza che si esercitavano in favore del popolo: si soccorsero indigenti, si prestarono senza mercede all’infima classe del popolo i soccorsi della medicina e dell’ostetricia. Questa era l’istituzione che avrebbe dovuto perfezionarsi e moltiplicarsi[4].