LIBERTÀ
EGUAGLIANZA
MONITORE NAPOLETANO
Fondato nel 1799 da
Carlo Lauberg ed Eleonora de Fonseca Pimentel
Anno CCXXV

Rifondato nel 2010
Direttore: Giovanni Di Cecca

Carlo Lauberg: il patriota amico della libertà Stampa
Scritto da Nicola Terracciano   
Venerdì 16 Settembre 2011 14:55

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“Dotato di bella e persuasiva eloquenza, temperamento appassionato e carattere risoluto, uomo retto e leale, che sapeva acquistarsi affetto e fiducia, era come nato a far da capo; ed egli fu veramente il personaggio che si levò sugli altri tutti e riunì, ordinò e indirizzò a pratica azione il movimento per la libertà nell'Italia meridionale, il primo di simili movimenti in tutta Italia, e col quale veramente ebbe inizio quel periodo di settant’anni di sforzi sempre ripresi e sempre crescenti, che si chiama il Risorgimento italiano.” (Benedetto Croce (1)

“di alta statura, di corpo robusto, le spalle alquanto alzate, i capelli castani, la carnagione bianca e alquanto butterato in volto dal vaiuolo, vestito di giamberga nera o di colore oscuro” (documento della polizia)

Carlo Giovanni Lauberg nacque l’8 settembre 1762 a Teano da Carlo, un tenente del reggimento Namur (di origine pertanto belga), anche se nato ad Orbetello, presidio militare sotto il dominio della Spagna, come il Belgio. Il padre di Carlo Giovanni era un militare di valore, che aveva combattuto con l’esercito ispano-napoletano del nuovo re di Napoli, Carlo di Borbone, figlio del re di Spagna, contro gli Austriaci, partecipando alla battaglia vittoriosa di Velletri del 1744 e, nei due anni successivi, alla campagna in Lombardia. Alla fine del 1747 è segnalata la residenza a Teano di mille soldati spagnoli, cioè di militari dei reggimenti stranieri, che componevano gran parte dell'esercito ispano-napoletano del Regno di Napoli e di Sicilia. (2).

 

A Teano Carlo Lauberg conobbe e sposò poi nel 1760 Rosalia di Martino; a Teano, come si è detto, nacque nel 1762 il primogenito Carlo Giovanni. Padrino fu il maggiore Carlo Brunet dello stesso reggimento Namur e la fede di nascita è conservata nell'incartamento di Lauberg presso l'Archivio del Ministero della Guerra di Parigi. (3) In documenti di Teano di metà Settecento è segnalato più volte il cognome "Martino", ancora oggi diffuso nella cittadina. (4)

 

 

Nel 1769 nacque il secondo figlio Gioacchino, nel 1770 Salvatore. Come nella tradizione di famiglia, Carlo fu avviato al mestiere delle armi, cadetto nello stesso reggimento Namur del padre, ed ebbe compagni Oronzo Massa di Lecce e Gabriele Manthoné di Pescara, futuri generali e martiri della Repubblica Napoletana del 1799.(5)

Ma, portato più verso gli studi, in modo particolare verso le scienze fisiche e matematiche, entrò nell’ordine dei Padri Scolopi di Napoli, diventando un ecclesiastico. Studiò anche alla scuola di Domenico Cirillo. A Chieti, dove fu mandato ad insegnare, scrisse nel 1788 un libro di esercitazione scolastica “Analisi chimico-fisica sulle proprietà de' quattro principali agenti della natura seguita da un saggio sulle principali funzioni degli esseri organizzati” e poco tempo dopo il lavoro “Riflessioni sull’umano intendimento”, che rivela la sicura conoscenza della filosofia francese ed inglese, di Locke in particolare, definito “incomparabile” e che, come disse lo stesso Lauberg, non si era disperso “nello studio immenso delle questioni inutili che comunemente si agitano nelle scuole”, ma si era rivolto a “esaminare i fenomeni del pensiero”.(6)

Tra il 1788 e il 1789 ebbe un incarico di insegnante presso il Collegio militare della Nunziatella, istituito nel 1786, dove erano passati come alunni anche due suoi fratelli. Al comandante della Nunziatella, Leonessa dei principi di Sepino, dedicò lo scritto “Una memoria sull'unità dei principii della meccanica”. Ma la cattedra che teneva per incarico fu assegnata per concorso ad Annibale Giordano di Ottaviano. Partecipò, senza successo, a concorsi universitari per fisica sperimentale e storia naturale.

Aveva aperto, nel frattempo, presso la sua abitazione di Vicolo dei Giganti n.11, uno studio privato di carattere universitario; aveva abbandonato la carriera ecclesiastica, dedicandosi così pienamente al suo lavoro di professore di fisica e matematica, con interessi particolari verso la chimica e senza abbandonare la filosofia.

Nel 1791 tradusse l’opera di un francese Pluquet “Esame del fatalismo o sia esposizione e confutazione dei diversi sistemi di Fatalismo, che han divisi i Filosofi sull'origine del mondo, sulla natura dell'Anima, e sui Principi delle azioni umane” in tre volumi, con ampie note, che rivelano il suo spirito tutto positivo, antimetafisico, contro “le questioni di parole”. Nelle note lega acutamente, tra l’altro, le filosofie alla psicologia, alla personalità dei vari pensatori. Pur nel rispetto della religione, critica quelli che si servono di essa per travisare le dottrine degli altri e così perseguitarli, facendo riferimento, nell'esempio, a Giordano Bruno “uomo di una fervida e grande immaginazione...che ebbe delle grandi vedute”. (7)

Lo studio privato era organizzato e diretto insieme all’amico Giordano, suo fortunato rivale alla Nunziatella, ed insieme pubblicarono per uso didattico i due volumetti “Principi analitici delle matematiche”. (8)

Lauberg e Giordano aprirono poi nel maggio 1792 in una casa al Largo (Piazza Santa Caterina da Siena) un’Accademia di chimica, che teneva le lezioni e gli esperimenti due volte la settimana e che in pochi mesi ebbe una grande fortuna, frequentata dalla migliore gioventù studiosa napoletana del tempo.

L’Accademia, tenuta dai due liberi insegnanti, aderenti poi alla Massoneria (che fu tramite del passaggio d’idee e d’ideali dalla Francia a Napoli), fornita di gazzette provenienti d’Oltralpe, offriva occasioni di dibattiti politici, oltre che scientifici, sui temi della libertà e dei diritti dell’uomo. Collaboratore tecnico divenne il siciliano Pasquale Matera, futuro generale e martire della Repubblica Napoletana del 1799.

Tra gli allievi prediletti vi furono i pugliesi Emmanuele de Deo “la prima nobilissima vittima della libertà napoletana” ( 9) e Ignazio Ciaia, letterato, nobili come il conte di Ruvo Ettore Carafa e il duca Gennaro Serra di Cassano, futuri protagonisti di rilievo e tutti martiri della Repubblica napoletana del 1799 ed altre centinaia, che furono coinvolti nei processi politici degli anni successivi.

Lauberg divenne amico del nuovo ambasciatore francese Mackau (10) e dell’ammiraglio della flotta francese Latouche, che venne a dare un segno di forza e ottenere soddisfazione dal Regno di Napoli a fine 1792, per un incidente diplomatico. Lauberg fu invitato spesso a bordo dell’ammiraglia “Languedoc” (11), ebbe il Latouche uditore all'Accademia, dove tenne poi discorsi rivoluzionari, democratici, invitando ad emulare la nazione francese. Il 19 novembre 1792 la Convenzione aveva pubblicato una dichiarazione “che assicurava ‘fraternità e aiuto’ ad ogni popolo che avesse voluto riconquistare la sua libertà”.(12).

Lauberg organizzò una società patriottica napoletana, articolata in “clubs”, di cui fu eletto presidente provvisorio. La società aveva un programma d’azione rivoluzionario, che si imperniava nella cacciata dei tiranni, nel “ravvivare i diritti dell'uomo oppressi, rimettere la tranquillità, sopprimere gli abusi, rendersi tutti liberi e perfettamente uguali”.(13) Per la società patriottica napoletana, Lauberg tradusse la Costituzione francese del 1793, la più avanzata dal punto di vista democratico delle costituzioni dell'età rivoluzionaria, di cui furono stampate duemila copie, diffuse a Napoli e nel Regno.

Per denunce malvagie furono arrestati i fratelli Del Re e il citato Emmanuele de Deo, fu perquisita la casa di Lauberg. Gli amici della società patriottica napoletana lo convinsero, lo spinsero allora a mettersi in salvo fuori del Regno, per unire il movimento patriottico napoletano con simili movimenti in altre parti d'Italia e con la Francia. Il citato allievo letterato Ignazio Ciaia ha lasciato un’ode su questo momento drammatico, che dice in un passaggio, rivolto proprio a Lauberg:

"fuggi, te l’onde aspettano,

te le furtive vele:

speme de l’alme libere,

qui più non dèi restar

...ah no, non sarà l’ultimo

questo fraterno addio !

Dovrem felici e liberi

vederci e poi morir. (14)

Sbarcato nello stato pontificio, fu arrestato a Roma, ma dovette essere rilasciato per pressioni francesi. Si rifugiò a Nizza e divenne farmacista in un ospedale militare.

Conobbe e fu amico di Filippo Buonarroti, uno dei grandi protagonisti delle origini del Risorgimento italiano, che accoglieva e sistemava i profughi politici, specialmente napoletani,(15) che stimava così intensamente da affermare “se l’Italia è destinata ad esser libera, la vera rivoluzione comincerà sotto il sole ardente del Vesuvio”.(16)

Per il processo svoltosi a Napoli nel 1794, il Lauberg fu condannato in contumacia, e si ebbero per i membri della società patriottica napoletana carcere, esili e il patibolo per il citato martire pugliese Emmanuele de Deo.

Nel 1795 Lauberg sposò Catherine Arnauld di Antibes, francesizzando anche il suo cognome in ‘Laubert’, e partì poi, alla fine dell'anno, come farmacista di prima classe, nell’armata francese d’Italia, guidata da Napoleone, contro i piemontesi e gli austriaci. Divenne amico profondo del generale Bartolomeo Joubert.

Nel 1796 Lauberg è a Milano, riabbracciando tanti esuli napoletani.(17). Tenne all'istituto patriottico un discorso, in cui ricordava le sofferenze, le persecuzioni, la necessità del lottare uniti ed indicava come prospettiva e ideale la repubblica italiana democratica, una e indivisibile. In altre occasioni trattò di questioni militari e della legge agraria.

Nel febbraio del 1797, in occasione delle vittorie francesi e della presa di Mantova, Lauberg pubblicò a Lodi lo scritto “Discorso di un libero partenopeo”, che rivela la sua vena storicista, ritrovando le origini del momento rivoluzionario in Italia e in Europa nel lungo processo di liberazione dal Medioevo, che aveva avuto nelle lotte religiose in Germania, nella rivoluzione politica e religiosa dell’Olanda, dell’Inghilterra, dell’America, nell’Illuminismo i momenti più decisivi. E a partire dalla Francia la ragione e il coraggio repubblicano avevano prodotto in pochi anni più mutamenti che in tanti secoli.

Man mano che avanzavano le truppe francesi, Lauberg teneva discorsi e pubblicava scritti con l’intento di accompagnare alla conquista-liberazione militare un processo di risveglio nazionale e democratico. Così lo si vede operare a Brescia, Bergamo, Verona e i suoi discorsi sono pubblicati sul “Giornale de’ Patriotti d’Italia” del 1797, “anno I della Libertà italiana”. Si rivolgeva in modo particolare agli uomini di scienza e dell’università, affinché uscissero dalla loro prudenza e sapessero guardare al coraggio di uomini come Galilei e Giannone: “La verità, sentita una volta con forza e concepita con sublimità di vedute, non sa soffrire argine alcuno; essa diviene più intrepida nel contrasto”. (18).

Il generale Joubert lo chiamò all’opera di democratizzazione di Venezia e Lauberg fu nominato presidente della Società d’istruzione, istituita dal Comitato di salute pubblica. Promosse conferenze, letture, pubblicazioni anche in dialetto veneziano, onde portare a livello popolare la cultura democratica. Questo lavoro teso a “promuovere lo spirito pubblico, sviluppare la energia e consolidar la libertà” come il Lauberg incisivamente disse (19), lo faceva senza compenso, essendo “ricompensato abbastanza dall’intima persuasione di aver giovato alla causa della libertà”.

A Venezia conobbe Ugo Foscolo che poi rivedrà a Milano.

Dovette intervenire nel frattempo anche nella Valtellina, dove era scoppiata un'insurrezione antifrancese, e difendere con uno scritto l’operato dei Francesi in Italia contro le accuse, le calunnie, gli eccitamenti verso di loro, facendo realisticamente osservare il legame necessario tra libertà, modernizzazione dell’Italia e presenza dei Francesi, pur con i mali che la politica del Direttorio e il comportamento delle truppe implicavano.

Lauberg non fu un acritico agente della politica francese, ebbe l’amicizia dei generali Joubert e poi di Giovanni Stefano Championnet (quasi coetaneo di Lauberg, essendo nato nel 1761), che erano sinceri repubblicani, ostili alla politica di spoliazione o di pura conquista, legati alla missione di liberazione europea in senso repubblicano e democratico, che era una delle linee ispiratrici della Rivoluzione francese.

Lauberg espresse le sue critiche al trattato di Campoformio, che, in base a crude considerazioni francesi di potenza, concesse agli Austriaci la secolare Repubblica di Venezia, suscitando una delle più drammatiche delusioni, disillusioni, nel movimento patriottico italiano (si pensi a Foscolo).

Storicisticamente colse le cause del tramonto inevitabile della secolare, oligarchica formazione statale veneziana (20), ma fece notare l'assurdo di una situazione, che portava Venezia dal sogno di una libertà nuova e di una fraternità con la Repubblica cisalpina al dominio di un re straniero, che veniva a signoreggiarla, senza vittoria militare, senza patti e senza condizioni. (21)

A Milano, dove ritornò, dopo la esaltante e drammatica esperienza veneta, continuò l'ufficio di farmacista presso l'armata francese e partecipava alla vita del Circolo Costituzionale, diretto dall’esule napoletano Matteo Galdi.

Prese la parola sull'importanza dell’emancipazione femminile, “sulla necessità di animare, di elettrizzare, di far risorgere dall’avvilimento questi esseri preziosi, stati per tanto tempo condannati al nulla nella società” (22), sulla necessità dell’educazione popolare democratica, sui pericoli delle adesioni ipocrite al patriottismo, che fanno detestare poi la libertà, dicendo efficacemente: “pratichiamo la virtù e smascheriamo gli ipocriti del patriottismo, e vedremo allora tutti gli uomini slanciarsi nella carriera della libertà”. (23)

Lauberg aderì con slancio al progetto del Circolo Costituzionale di Milano di dare diffusione ad una religione nuova, la “Teofilantropia” che, pur nel rispetto degli altri culti, solennemente affermato dalla Costituzione vigente nella Repubblica Cisalpina, si volgeva essenzialmente e soltanto all’amore di Dio e degli uomini. Così Lauberg la presenta: “Gli uomini, di qualunque setta, adorano una causa suprema, chi sotto un nome, chi sotto un altro. Questa causa suprema, quest'essere infinito, creatore, conservatore della natura, è Dio. Egli ci ha dato l'esistenza, egli ci conserva; noi dobbiamo amarlo ed offrirgli i teneri sentimenti della nostra riconoscenza. Ecco il primo principio.

Iddio ha creato tutti gli uomini uguali; ha loro impresso nel cuore il desiderio della propria conservazione e felicità, per cui ne ha formato una famiglia di fratelli, un complesso di parti che devono concorrere al bene del tutto. Gli uomini devono dunque amarsi necessariamente, assistersi, soccorrersi l'uno coll’altro, e promuovere la pubblica felicità da cui l’individuale dipende. Ecco il secondo principio...Raduniamoci in una Chiesa teofilantropica; adoriamo l'Essere supremo, amiamo i nostri fratelli, istruiamoci de’ nostri doveri, impariamo i precetti della santa morale, e, sortendo dai tortuosi labirinti della superstizione, entriamo nel tempio della Ragione, figlia di Dio”. (24)

Alla luce di questa visione religiosa fondata sulla ragione e sull’amore fraterno, Lauberg criticava il clero parassita, possessore di tanti beni collettivi, rivendicando il diritto della nazione a recuperarli, e la Corte Romana, centro di reazione, fanatismo e violenza, vaticinava la libertà del Campidoglio, esaltandola quando fu soppresso il governo pontificio dalla spedizione dell’amico generale Championnet, con la proclamazione della Repubblica Liberaldemocratica Romana del 1798.

Come si è detto, scriveva e collaborava sul “Monitore Italiano”, dove apparve ai primi del 1798 uno schizzo sulla vita intellettuale italiana negli ultimi secoli “Progressi dello spirito umano in Italia”, che esaltava i poeti, gli artisti, gli eruditi, gli storici, gli economisti, i filosofi, che avevano mantenuta viva l’Italia, pur senza libertà e sotto il giogo della superstizione, del dispotismo, e concludeva criticando gli intellettuali che si erano messi al servizio della reazione, contro la Rivoluzione francese, scrivendo contro la libertà, i diritti dell’uomo e del cittadino.

Compose anche un articolo di economia “Sull'alto prezzo delle cose” (25), nel quale, prendendo ad esempio l’Inghilterra, difendeva l'economia degli alti prezzi, come segno di ricchezza, di dinamismo, di modernizzazione nella produzione e nel commercio, contro le barriere, i protezionismi, le eccessive regolamentazioni e diceva con efficacia “Legislatori, guardatevi bene e dalla smania di voler tutto regolare e dal vostro amor cieco pel bene del popolo. La soverchia premura di nutrirlo a buon mercato potrebbe facilmente immergerlo nella miseria e farlo perire di stento e languore”. (26)

Agli inizi del 1798 Lauberg divenne direttore del giornale “Redattore” (27), che aveva l'appoggio e il sostegno del Direttorio, che ne acquistava più di 500 copie, spedendole ai vari corpi d'armata.

Lauberg ricordava i benefici ricevuti dal popolo cisalpino con l’avvento della Repubblica (la rappresentanza legislativa, la guardia nazionale, la libertà di stampa, l’educazione della gioventù, l’apertura di circoli patriottici e formativi), invitava alla concordia ed alla operosità, per dare salde radici al nuovo miracoloso ordinamento repubblicano, auspicava per l’Italia l'unità politica “da cui solamente può derivare la sua sicurezza e la sua dignità”.

Era impegnatissimo nelle conferenze da tenere e negli articoli da scrivere; tradusse dal francese per l’educazione nuova le “Lezioni ad uso delle scuole normali di Francia”, composte da insigni scienziati e scrittori (es. Lagrange, Laplace), preparò la stampa dei suoi interventi al Circolo Costituzionale “Prediche repubblicane recitate nel Circolo costituzionale”, pubblicò in tre volumi, arricchendola di note, la traduzione dell'opera del famoso illuminista francese Adrien Helvétius “De l'esprit”, del 1758 (28), l’opera che aveva suscitato un'eccezionale scandalo, che portò alla grande campagna “che la Chiesa, il parlamento di Parigi ed il ‘partito devoto’ di corte condussero contro i 'philosophes', ottenendo la definitiva ‘soppressione’ dell'Enciclopedia”. (29)

Helvetius, alla luce di una posizione di sottile sensismo, dava un'interpretazione politica della religione e denunziava fortemente il dispotismo. Bisognava eliminare il potere dei tiranni e la superstizione dei fanatici.

Lauberg così osservava nelle note "Quali servigi può rendere un anacoreta, un uomo il quale, quando non fa del male, è di una perfetta nullità... La religione cristiana è un gergo astronomico come tutte le altre, ed i suoi ministri son simili a quelli delle altre religioni. Quindi hanno arrestato, scannato, torturato, ecc. come quelli delle altre religioni, e sono stati più crudeli perché più intolleranti. Campanella, Giordano Bruno, Galilei, Giannone..., l’ultimo termine di questa serie è infinito". (30)

Pur parlando poco del Mezzogiorno, pur vedendolo da lontano come troppo vicino all'Africa, Lauberg aveva nel cuore gli amici di Napoli martiri, incarcerati, esiliati, costretti al silenzio. (31) E quando venne nominato generale in capo dell'armata francese d’Italia l'amico Joubert, che iniziò subito la democratizzazione del Nord, cacciando i Savoia e dispose la spedizione contro il re di Napoli, affidandone l'incarico al generale Championnet, sentì vicino l'avverarsi dell'attesa, antica, cara speranza.

Il generale Joubert, che aveva avuto a fianco Lauberg per il passaggio del Piemonte dalla monarchia alla repubblica, capì che l’amico era più necessario a Napoli e gli diede l’incarico di raggiungere Championnet, che era giunto nel dicembre 1798 a Capua.

Il contributo dei patrioti esuli, che, tornando, accompagnavano Championnet, fu prezioso ed il generale francese costituì una commissione, presieduta proprio da Lauberg. Come dice Croce "La commissione spedì suoi emissari nei Comuni per diffondere le idee repubblicane, dissipare la diffidenza paurosa che si nutriva verso i francesi, per anni e anni dipinti dai pulpiti come cannibali, e preparare le popolazioni napoletane a riceverli di buon animo". (32) Lauberg annodò le fila coi patrioti napoletani, con gli ufficiali più aperti che conosceva, con il personale politico più affidabile, onde garantire un passaggio rivoluzionario meno sanguinoso.

Il 18 gennaio 1799 Lauberg si trovava a Caserta a fianco di Championnet, ritto in piedi, dietro la sedia del generale, a regolare le risposte da dare alle delegazioni che si presentavano, deciso nella direzione della conquista di Napoli contro ogni titubanza, anche dello stesso generale.

Negli scontri che seguirono fu sempre in mezzo ai soldati, agli esuli, ai patrioti.

Proclamata la Repubblica il 21 gennaio 1799, Championnet lo nominò tra i 25 membri del Governo provvisorio, di cui Lauberg assunse la Presidenza. Nella cerimonia d'insediamento del Governo provvisorio del 25 gennaio 1799 nella sede del municipio a San Lorenzo, dopo il discorso di Championnet, prese la parola, ringraziando a nome della Nazione Napoletana l'Armata Francese, ma rivendicò il contributo che già i patrioti avevano dato negli anni precedenti, con gli ideali di libertà e di democrazia diffusi e testimoniati con le carceri, l’esilio, il patibolo. Disse Lauberg “Una parte di questi uomini sventurati cadde tra' ferri del tiranno, e mostrò tra gli errori della prigione e della morte quella fermezza che fa impallidire il despota anche quando cerca di satollare la sua furente rabbia; un'altra parte, meno infelice, giunse ad abbandonare i patrii lidi: l’Italia ha trovato tanti piccoli vulcani in quanti napoletani ha raccolti nel suo seno; né tra' fasti della sua rigenerazione l’ultimo luogo occuperanno i figli di Sebeto". (33)

Quei primi mesi del 1799 furono i più intensi della sua vita. Vedeva il sogno politico divenire realtà, nella patria natìa, con gli amici cari a fianco, come il citato Ignazio Ciaia.

Lo stimavano tutti, dai generali francesi come Thiébault, che lo ricorderà nelle sue ‘memorie’ per l’integrità, l’energia, le capacità, la stoica virtù, a Eleonora Pimentel Fonseca che così ne parlava nel giornale della Repubblica, il ‘Monitore napoletano’ (che fu ideato e fondato proprio da Lauberg, che era stato giornalista e direttore di periodici, anche se la gestione più concreta fu affidata in modo memorabile e rivoluzionario per quell’epoca non solo in Italia, ma in Europa, ad una donna, la citata Eleonora Pimentel Fonseca, scelta proprio da Lauberg) “pieno di quell’amore della Libertà e della Patria, che tutta l’Europa in lui riconosce, e di quell’esperienza che la gran parte, ch’egli ha avuta nelle altre rivoluzioni, gli ha fatto acquistare”. (34)

Ma Lauberg, da realista qual’era, conosceva anche la fragilità della neonata Repubblica, che non aveva la piena simpatia del Direttorio, il quale non aveva fortemente voluto la conquista del Regno di Napoli, che guardava la vicenda con preoccupazione e con intenti economici di spoliazione, che era pronto a cedere, di fronte a troppi sacrifici da fare.

Le speranze di Lauberg erano riposte nello Championnet, che credeva nella Repubblica Napoletana, e nell’opera energica degli amici patrioti.

Lauberg ebbe contrasti con l’agente del Direttorio Faypoult, già a lui noto a Milano per le sue posizioni ostili ai patrioti napoletani, tanto da revocare la legge che accordava la cittadinanza agli esuli meridionali e veneziani. Inviò a Parigi una delegazione per ottenere il riconoscimento dello stesso Direttorio (di cui fecero parte anche due suoi fratelli militari), spinse ad organizzare una spedizione nelle Calabrie contro gli insorti sanfedisti e per la conquista della Sicilia, dove si era rifugiato vilmente il fuggitivo re Ferdinando. Ma il Direttorio non volle ricevere la Deputazione napoletana (35), anzi sostituì il generale Championnet (che fu poi arrestato) con il generale più fedele ai propri intenti immediati, crudamente politici, Macdonald.

La sconfitta di Championnet fu la sconfitta di Lauberg. Il Direttorio di Parigi e le forze repubblicane moderate napoletane non potevano più accettare ancora per molto un Presidente del Governo provvisorio democraticamente avanzato come Lauberg ed operarono per emarginarlo, eliminarlo politicamente.

I commissari francesi chiedevano continui contributi e Lauberg era costretto ad esigere sempre nuovi sacrifici al popolo napoletano, legando, esponendo inevitabilmente, in quanto Presidente, la sua persona a sentimenti diffusi di odio e di calunnie. Passavano in second’ordine le conquiste legislative rivoluzionarie, l’apertura della Sala d'istruzione pubblica, dove il Lauberg tenne il discorso d'apertura e parlarono poi tra gli altri Vincenzio Russo ed Eleonora Pimentel Fonseca.(36)

II nuovo generale lo tenne lontano da sé e lo relegò al Comitato di Legislazione. (37) La caduta politica fece crescere la voce di presunte malversazioni e ruberie, di una prossima fuga coi tesori rapinati. Così, sull’onda delle voci, un gruppo di militi della guardia nazionale, il 12 aprile, senza averne ricevuto ordine, lo arrestò. Macdonald fece la sera stessa liberare Lauberg, ordinando la punizione dei responsabili per l’atto arbitrario.

Amareggiato e deluso, Lauberg se ne partì da Napoli a fine aprile, anche perché, come osservò acutamente Cuoco “Tra i nostri patrioti (ci si permetta un’espressione che conviene a tutte le rivoluzioni e che non offende i buoni) moltissimi avevano la repubblica sulle labbra, moltissimi l’avevano nella testa, pochissimi nel cuore”. (38). La Repubblica era nata da pochissimo, non aveva potuto creare un costume più civile, era già assalita dai sanfedisti, ma soprattutto dagli inglesi, dominatori dei mari, nello scenario poi dell’avanzata austro-russa in Italia, che travolgeva le esperienze repubblicane liberaldemocratiche.

Per la partenza già in aprile, Lauberg non fu coinvolto pertanto dalla tragica fine della cara Repubblica Napoletana.

Riprese al Nord il suo posto di farmacista capo presso l’armata francese d'Italia, con un’ultima fiammata di speranza, quando furono rimessi a capo della citata armata i suoi amici generali Joubert e Championnet, definiti giustamente dal Croce “nobili, disinteressati e leali idealisti repubblicani” (39), e si progettava la rioccupazione delle terre italiane riprese dagli austro-russi, con la possibilità di convocare una Convenzione nazionale italiana.

Vi era stato il 18 giugno in Francia un colpo di stato. Dice sinteticamente Woolf “Il 18 giugno (30 pratile) il partito dei militari in Francia, con l’aiuto di alcuni ex giacobini, attuò un colpo di Stato contro il primo Direttorio e per pochi mesi, fino al colpo di Stato realizzato da Bonaparte il 18 brumaio (10 novembre 1799), vi fu un ritorno agli ideali della guerra rivoluzionaria: i commissari civili furono soppressi e Championnet fu nominato comandante in capo per l'Italia, con l’aiuto di Joubert”. (40)

Ma la morte sul campo a Novi Ligure, il 15 agosto del 1799, del generale Joubert, seguita dopo pochi mesi da quella di Championnet a Nizza per malattia, tolse ogni speranza ai patrioti italiani.

L’avvento di Bonaparte diede una svolta profondamente diversa, sostanzialmente moderata, al processo rivoluzionario.

Lauberg si ritirò allora dalla politica attiva, in senso democratico (ormai impossibile), dedicandosi alla sua professione ed alla famiglia.

In qualità sempre di farmacista-capo, operò con l’armata del Nord in Olanda, poi in Spagna, con un impegno così lodevole da essere proposto per la Legion d’Onore. Nei rapporti ufficiali si sottolineava sempre il suo zelo, la sua fedeltà, la sua probità, il senso del dovere, fino al rischio della morte. In una relazione del 1810 sempre da Madrid si afferma “egli è impegnato nei suoi doveri di giorno e di notte; basta che sappia che v’è una persona che sta soffrendo perché porti soccorsi e consolazioni”.( 41).

Sempre in qualità di farmacista-capo fece parte della Grande Armata di Napoleone in Russia, ricevendo diversi incarichi dall’imperatore in persona. Fece poi la campagna di Germania.

Anche nell’età della Restaurazione, per le sue competenze ed il suo valore, conservò posti di rilievo nel campo della sanità militare. Ebbe l’agio di eseguire lavori scientifici, scrivendo diverse memorie, che furono tradotte anche in Inghilterra.

Croce così riassume gli impegni scientifici degli ultimi anni: “Fu uno dei redattori del ‘Recueil de mémoires de médecine, chirurgie et pharmacie militaires', e, sotto la vigilanza del Consiglio di Sanità compì la redazione del ‘Code pharmaceutique des hopitaux militaires’. Al 'Dictionnaire de sciences médicales', pubblicato dal 1812 al 1822 in sessanta volumi, contribuì con molti articoli”.(42)

Nel 1825 ebbe insieme il collocamento a riposo e la naturalizzazione francese.

Delle sue tre figlie la prima, Maddalena, sposò un farmacista di Parigi, la seconda, Elisa, un capitano degli usseri, la terza, Caterina, era nata nel 1812. Abitava in Rue de la Madeleine, numero 25.

Con la sua pensione faceva vita dignitosa, manteneva qualche esile rapporto con esuli meridionali, come il catanese Gambini, che viveva a Ginevra.

Man mano che passava il tempo e gli eventi della sua appassionata giovinezza si allontanavano, vivendo in una Francia, dove vigeva comunque il clima pericoloso della Restaurazione, avendo una famiglia ed una vita serena da portare avanti, Lauberg cercò, nelle notizie date ai dizionari biografici, che si andavano pubblicando e che si interessavano di lui, di offrire di sé soprattutto l’immagine dello scienziato, del farmacista militare, dell’ispettore generale del servizio di sanità, dell’insignito della Legione d’Onore.

Morì onorato a Parigi il 2 novembre 1834, dove vissero, e vivono forse, i suoi discendenti per parte femminile.

NOTE

1), Benedetto Croce, La vita di un rivoluzionario: Carlo Lauberg, in Vite di avventure di fede di passione, a cura di G.Galasso, Adelphi, Milano, 1989, p.373.

La biografia di Lauberg fu composta da Croce tra il 1931 e il 1933, come ricorda Galasso alle pp. 449-450, e pubblicata prima nella rivista “La Critica”, 32, 1934, pp. 254-277 e 326-357.

Limata, come nello stile di Croce, fu inserita, con altre cinque ricerche (che si riferiscono a Filippo di Fiandra conte di Chieti e di Loreto, Cola di Monforte conte di Campobasso, Galeazzo Caracciolo marchese di Vico, Isabella di Morra e Diego Sandoval De Castro, Diego Duque de Estrada) a comporre il citato volume "Vite...", edito da Laterza, Bari, nel 1935 in I ed. e nel 1943 in II ed.. La ristampa del 1989, a cura della Adelphi e di Galasso, si colloca nell’ambito del rinnovato, doveroso interesse verso la profonda, immensa, insostituibile opera intellettuale di Benedetto Croce. La biografia crociana si differenzia programmaticamente dalle “vite romanzate”. Come dice lo stesso Croce nell’ “Avvertenza”, egli intende “attenersi alla più scrupolosa acribia nella documentazione e ricostruzione biografica...riattaccare i casi individuali ai problemi della loro età...appagare in certa misura la fantasia mercè la particolarità dei fatti e la vivezza del racconto” (p. 13-14).

Tra i tanti personaggi incontrati nella sua varia, vasta indagine storiografica in particolare sulle vicende del Regno di Napoli (è del 1925 la prima edizione de sua classica ricostruzione) e della Rivoluzione Napoletana del 1799 in particolare (oggetto di uno studio specifico nel 1912), Croce fu attirato da sei figure, le cui vite: “ricche di vicende e di contrasti, trabalzate e trapiantate dalla fortuna in paesi lontani e diversi impersonavano drammaticamente le condizioni e le lotte politiche e  morali dei tempi loro” (p. 13).

Il profilo che si presenta deve molto all’esemplare biografia di Croce.

L’auspicio è che si ridesti un rinnovato interesse critico sull’importante figura risorgimentale, con l’ampliamento delle fonti e delle conoscenze, raccogliendo anche in modo organico gli scritti. Il vivissimo interesse di Croce verso Lauberg si espresse nella ricerca di moltissimi documenti e studi che lo riguardavano e che sono conservati presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli, fondato da Croce presso la sua abitazione di palazzo Filomarino e che sono stati tutti consultati dall’autore del presente profilo.

Prima del Croce, ampi riferimenti su Lauberg sono presenti in Michele Rossi, Nuova luce risultante dai veri fatti avvenuti in Napoli pochi anni prima del 1799,  Firenze, 1890.

Scarsi cenni si trovano nella storiografia locale, es. in Achille Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni, Sora, 1915, p. 98, dove lo si fa nascere nel 1770 e morire nel 1836 e in Claudio Cipriano, Teano, Saccone, Caserta, s.d. (forse 1982), pp. 144-145, dove si ripetono gli errori del Lauri, che è evidentemente la fonte, si cita Giovanni Gentile e non il saggio fondamentale di Benedetto Croce. Nella voce su Lauberg nel “Grande Dizionario Enciclopedico” della UTET, Torino, vol. XI, 1966, p. 48, pur con informazioni più ampie che in Lauri e Cipriano, lo si fa nascere nel 1752. Di Lauberg come “ardente patriota e rivoluzionario repubblicano liberaldemocratico”, per la sua vasta esperienza prima del 1799, parla Mario Battaglini, La rivoluzione giacobina del 1799 a Napoli, D'Anna, Messina, Firenze,1973, p. 21. Il testo di Battaglini, congiunto col “Saggio” di Cuoco e le altre opere di Croce sul tema possono dare, tra tante altre, il quadro analitico ed interno della vicenda rivoluzionaria del 1799.

Precisa ed analitica è la voce su Lauberg stesa dalla prof.ssa Renata De Lorenzo per il 64° volume del ‘Dizionario  Biografico degli Italiani’, la monumentale opera edita dalla Treccani, Roma, 2005, pp. 47-51.

2)  Claudio Cipriano, Il catasto onciario di Teano (1755-1756), Teano p. 84. Per la composizione e le caratteristiche dell'esercito ispano-napoletano dell’epoca Michelangelo Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Dante Alighieri, Milano, 1923, I vol., pp. 329-334.

3) Benedetto Croce, Vite di avventure di fede e di passione, cit., p.366.

4) Claudio Cipriano, op. cit., pp.72,75.

5)  Francesco Grillo, La rivoluzione napoletana del 1799, Pellegrini, Cosenza, 1972, pp. 242, 244-245.

6)  B. Croce, op. cit., p. 368.

7 Ibidem, p. 371.

8)  Ibidem, p. 374.

9) “Ambasciatore a Napoli divenne, sul finire del 1792, Armand Mackau, ardente fautore della Rivoluzione. Il 19 novembre, a seguito della spedizione di Latouche-Tréville, fu il primo ministro della Convenzione ad essere riconosciuto ufficialmente in Europa, giacché fino a quel momento Acton, pur non volendo pervenire ad una rottura con la Francia, aveva dichiarato di non poterlo riconoscere quale rappresentante della repubblica.

Fin dall'inizio Mackau si attirò il sospetto e l’odio della Corte con l’opera di instancabile proselitismo che svolse non soltanto tra i suoi connazionali, ma in maniera sempre più palese fra i liberaldemocratici napoletani. Si ritiene che proprio nel palazzo dell'ambasciatore di Francia Carlo Lauberg e altri diedero vita, tra il gennaio e l’agosto del 1793, alla prima società liberaldemocratica e prepararono la congiura del 1794”, in AA. VV., La Repubblica Napoletana del 1799, Mostra di documenti, manoscritti, libri a stampa, Catalogo, prefazione di Giovanni Pugliese Carratelli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 1989, p. 86.

10) AA. VV., La Repubblica Napoletana del 1799, cit. p. 28. Nella stessa pagina si afferma “La spedizione del Latouche,che suscitò a Napoli e in tutto il Regno un'atmosfera di trepidazione e di timore, svolse soprattutto una funzione catalizzatrice nel processo di trasformazione delle locali logge massoniche in ‘clubs' giacobini’ “ (p. 28).

11) Stuart J. Woolf, II Risorgimento Italiano, Einaudi, Torino, 1981, vol. I, p. 208.

12)  Riportato in B.Croce, op. cit., p. 377.

13) B.Croce, op. cit., pp. 379-380. Sul poeta e martire liberaldemocratica ha scritto particolarmente L. Pepe, Ignazio Ciaia, martire del 1799, e le sue poesie, Trani, 1899.

14)  AA. VV., La Repubblica Napoletana del 1799, Mostra..., cit., p. 98.

15) B.Croce, op. cit., p. 382. A proposito dei patrioti napoletani, che operarono insieme a quelli di altre regioni, così osserva lo stesso Croce, Storia del Regno di Napoli, (I ed. 1925), Laterza, Bari, 1966 "Quei giacobini napoletani, uniti coi loro fratelli di tutta Italia, trapiantarono in Italia l’ideale della libertà secondo i tempi nuovi, come governo della classe colta e capace, intellettualmente ed economicamente operosa, per mezzo delle assemblee legislative, uscenti da più o meno larghe elezioni popolari; e, nell’atto stesso, abbatterono le barriere che tenevano separate le varie regioni d’Italia, specialmente la meridionale dalla settentrionale, e formarono il comune sentimento della nazionalità italiana, fondandolo non più, come prima, sulla comune lingua e letteratura e sulle comuni memorie di Roma, ma sopra un sentimento politico comune.” (p. 202).

16) Per un inquadramento del periodo vedi Stuart J. Woolf, Il Risorgimento Italiano, Einaudi, Torino, 1981, voi. 1, pp. 206-256 (La rottura rivoluzionaria con il passato: 1789-99).

17) B. Croce, op. cit., p. 389.

18)  Ibidem, p. 391.

19) Una valutazione critica dell’oligarchia veneziana espresse successivamente anche Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, (I ed. 1801), Rizzoli, Milano, 1966, p .47.

20) Carlo Laubert, Considerazioni sopra Venezia, in “Monitore Italiano” Milano, n. 7, febbraio 1798.

21) B. Croce, op. cit., p. 396.

22)  Ibidem, p. 397.

23)  Ibidem, p. 400.

24) Carlo Laubert, Progressi dello spirito umano in Italia, in “Monitore Italiano”, nn. 2, 5, del 22 e 28 gennaio 1798.

25) Carlo Laubert, Sull’alto prezzo delle cose, in “Monitore Italiano”, n. 12, 11 febbraio 1898.

26)  Ibidem.

27) “II Redattore” con l’epigrafe ‘Libertate opus est’, Pers. Milano, 15 nevoso, anno VI della Repubblica francese (4 gennaio).

28)  Dello spirito, Vol. I, Milano, nella stamperia di Raffaele Netti, 1798, vol. II, 1798, vol. III, 1799.

29) Paolo Casini, Il materialismo francese, in AA. VV., Storia della filosofia, a cura di M.Dal Pra, Vallardi, Milano, vol. 8, p. 258.

30) Riportato in B.Croce, op. cit,, p. 410.

31) Così descrive Vincenzo Cuoco nel “Saggio” citato, l'atmosfera del Regno dopo il 1794 “La nazione fu assediata da un numero infinito di spie e di delatori che contavano i passi, registravano le parole, notavano il colore del volto, osservavano finanche i sospiri. Non vi fu più sicurezza.” (p. 62-63).

32) B.Croce, op. cit., p. 414-415.

33) II testo del discorso fu riportato per intero nel “Monitore napoletano”, diretto da Eleonora Pimentel Fonseca, e la parte citata è ripresa sempre da B.Croce, op. cit., p. 417.

34) Riportato in B.Croce, op. cit., p. 418.

35) “La deputazione napoletana, partita tra il 15 e il 16 febbraio, giunse a Parigi il 20 marzo, ma non ottenne di essere ricevuta dal Direttorio, che ordinò ai delegati di ripartire perché la loro Repubblica non era ancora tranquilla e aveva bisogno di loro. Inoltre, tutte le comunicazioni potevano essere fatte al commissario francese presente a Napoli.

Il Direttorio era in quel momento meno che mai disposto, dopo aver eliminato dalle altre Repubbliche il radicalismo di origine giacobina, a vederlo comparire a Napoli in posti di governo, per di più sotto la protezione di un personaggio ritenuto scarsamente affidabile come il generale Championnet.”, in AA.VV., La Repubblica Napoletana del 1799, Mostra..., cit., p. 109.

36) Vedi V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione dì Napoli, cit., p. 231, nota 8.

37) “La riforma del governo attuata da Macdonald e Abrial...eliminò dalla scena i capi democratici di idee più avanzate, come gli ex sacerdoti Cestari e Lauberg.”, in Stuart J. Woolf, II Risorgimento Italiano, cit., p. 245. Un cenno sulla posizione democratica avanzata di Lauberg nell’ambito del Governo provvisorio è segnalato da Aurelio Lepre, Storia del Mezzogiorno nel Risorgimento, Editori Riuniti, Roma, 1977, p. 82.

38) V. Cuoco, op. cit., p. 139.

39) B. Croce, op. cit., p. 425.

40) Stuart J. Woolf,  Il Risorgimento Italiano, cit., pp. 224-225.

41) B.Croce, op. cit., p. 428.

42) Ibidem, pp. 429-430.

Nota sullo scritto

Questa saggio fu scritto per la rivista ’Civiltà Aurunca’, diretta dal compianto Franco Compasso, Caserta, ed apparve nel numero di aprile-giugno 1991, nella sezione ’Risorgimento Aurunco’, proposto dal sottoscritto. Ora è integrato con revisioni e aggiunte.

APPENDICE

Uno scritto di Carlo Lauberg del 1799, apparso sul ‘Monitore Napoletano’, Supplemento al numero 2 del 5 febbraio.

Istruzioni generali del Governo Provvisorio della Repubblica Napoletana ai Patrioti.

I Patrioti, cioè gli amici della libertà, della eguaglianza, della umanità, oppressi da lungo tempo da un odioso dispotismo, non attendevano che il giorno felice, che ha veduto fondare la Repubblica Napoletana.

La Repubblica Napoletana, creata sotto gli auspici della gran Repubblica Francese, ha avuto la felicità di essere formata lungi dai turbini e dalle tempeste, e nel seno della pace interna, senza quasi alcuna effusione di sangue, sotto la protezione di un’armata vittoriosa e liberatrice.

Il punto  centrale dell’Impero(Parigi) ha  data  la commozione  elettrica, che deve trasmettersi a tutti i punti i più lontani. Napoli ha veduto piantare nelle sue mura l’albero felice della libertà, presagio dei suoi destini. Lo stesso Vesuvio si è mostrato sensibile a questa gran rivoluzione politica, che dà l’esistenza ad un popolo, lungo tempo addormentato nel seno della tomba, ed i fuochi del Vulcano, che non erano comparsi da molti anni, hanno sembrato di volere aggiungere il loro splendore alla illuminazione di questa vasta Capitale.

Il governo provvisorio è stato organizzato dal Generale in capo dell’armata Francese ed è in piena attività. Esso si occupa a preparare il glorioso avvenire, che è promesso al Popolo Napoletano, a fondare la Repubblica su basi durevoli, a imprimere un moto uniforme a tutti i membri della macchina politica.

Il voto più ardente, ed il più dolce da formarsi dal governo provvisorio, è quello di riunire prontamente tutte le parti della Repubblica Napoletana ai benefici della rivoluzione senza alcuna scossa, e conciliandosi, per quanto sia possibile, tutti gli spiriti e tutti i cuori, per prevenire le tempeste, le azioni, e le reazioni rivoluzionarie, le fazioni, le dissenzioni, e le vendette.

Rendere la rivoluzione amabile, per farla amare; renderla utile al popolo, ed alla classe abbattuta e sventurata dei Cittadini, per far godere questa classe rispettabile delle dolcezze di un governo libero: ecco lo scopo degli sforzi costanti dei Repubblicani.

L’Uguaglianza e la Libertà sono le basi della nuova Repubblica.

L’Uguaglianza consiste nel fare che la legge sia uguale per tutti e protegga l’innocente povero contro l’oppressore ricco e potente, e nel punto istesso che gli impieghi non siano più il premio del favore o dell'intrigo, ma dei talenti e della virtù.

La legge dell’uguaglianza non permette di riconoscere alcuno dei titoli vani e fastosi, che l’antica tirannia prodigava.

Ella non conosce che quella di Cittadino.

La Libertà consiste in ciò, che ogni Cittadino possa fare ciò che non gli è vietato dalla legge, e che non nuoccia ad un altro.

I primi anelli della catena sociale debbono stringere tra tutti i figli della Repubblica i legami della unione e della fraternità.

Questi sono i principi che i Patrioti di tutte le parti della Repubblica Napoletana sono invitati a propagare ed a spandere. Essi non debbono aspettare gli ordini del Governo, per far piantare nelle loro Comunità rispettive gli alberi della libertà, mettere la coccarda tricolore ed organizzare le Municipalità, che sono le prime Magistrature popolari.

I Sacerdoti veramente penetrati dalle massime del Vangelo, che raccomanda l’uguaglianza e la fraternità tra gli uomini, debbono altresì concorrere ai voti del Governo e rendere utile la di loro influenza, per fare apprendere ai Napoletani i benefici della libertà riacquistata e lo scopo della rivoluzione.

Tutti i Cittadini sono invitati a sviluppare gli elementi del nuovo sistema ed a far comprendere alla Nazione che ella avrà dei Magistrati che sceglierà ella stessa, i quali, invece di dilapidare il tesoro pubblico e di abusare del di loro potere, per opprimere, animati da un nobile sentimento di orgoglio, non si occuperanno che a ravvivare l’agricoltura, a rilevare il commercio, a ristabilire la marina, ed a fare fiorire tutte le parti dell’amministrazione politica.

Un suolo felice favorito dalla Natura ed un governo saggio sapranno ben presto riparare e fare obliare alcune sventure particolari ed alcuni sacrifici necessitati dalle circostanze, o risultato inevitabile della guerra e della rivoluzione, soprattutto in un paese che un Re fuggitivo e spergiuro ha vilmente spogliato e rovinato, senza rispetto né per le proprietà particolari, né per quelle della Nazione, ed ha seco trasportato sui mari i tesori di quelli che egli chiamava con impudenza suoi sudditi, e dei quali egli si diceva il Padre e si credeva il Sovrano.

D’oggi innanzi il popolo solo è sovrano: la legge emanata dai suoi rappresentanti non sarà che espressione della sua volontà e non avrà che la sua felicità per oggetto.

Repubblicani, voi tutti abitatori di qualsiasi parte degli Stati Napoletani, di cui il cuore batte per la libertà, fatene conoscere al Popolo gli inapprezzabili vantaggi.

Riunitevi gli uni agli altri. Non temete più il ferro del Tiranno. Andate, parlate. Formate delle assemblee generali di vasti concittadini e soprattutto di quei che voi conoscete per amici della libertà. Pronunciate dei discorsi al popolo: leggetegli i proclami del generale in capo dell’armata Francese e quelli del Governo provvisorio della Repubblica napoletana.

Gli alberi della Libertà saranno piantati; la coccarda rossa, gialla, e blù sarà posta; gli inni repubblicani saranno cantati; delle feste solenni riuniranno i nuovi figli della Libertà, che celebreranno i suoi benefici.

Voi organizzerete delle Municipalità, che saranno composte da un Presidente, da un Segretario e da sette membri o di quindici, nelle comunità al disopra di 10 mila anime; e voi non ammetterete in queste magistrature popolari che dei partigiani conosciuti e pieni di zelo per la causa del Popolo e della uguaglianza. Voi nominerete altresì dei Giudici di pace, per mantenere l’unione tra le famiglie e tra i Cittadini; e voi non darete i vostri suffragi che a degli uomini onesti e virtuosi.

Queste Municipalità ed i Giudici di pace saranno scelti alla presenza dei Repubblicani da tutti i Cittadini, che avranno voluto riunirsi, e sarà spedito in seguito un processo verbale della loro elezione al Governo.

Organizzate altresì delle Guardie Nazionali nelle differenti Comunità, affinché tutti  i buoni Cittadini siano all’ordine per mantenere i loro diritti e che, prendendo l’attitudine che conviene a degli uomini liberi, possano vegliare su gli artigiani torbidi e sui fautori della tirannia, che vorranno opporre i loro sordi intrighi e la loro influenza personale al corso rapido ed irresistibile della rivoluzione repubblicana; ed opprimerli.

Patrioti, queste istruzioni generali ci bastano.

Il governo fida sul vostro zelo; egli ordinerà la menzione favorevole di tutte le Comunità e dei Cittadini in particolare, che, cogli atti patriottici qui sopra indicati come regola di condotta dei Repubblicani, avranno prevenuto le intenzioni del Governo e lo invio dei Commissari, che saranno destinati nei differenti dipartimenti o province della Repubblica Napoletana, per organizzarvi tutte le autorità costituite, e consolidare la rivoluzione.

Gli uomini generosi, che avranno preceduto i loro concittadini nella carriera gloriosa della Libertà, saranno i primi chiamati a sostenere i dritti del popolo ed a servire la Patria nelle rappresentanze e nei tribunali, negli impieghi civili e militali; dovendo la Repubblica esser riconoscente verso i Repubblicani e questi dovendo essere tutti consacrati con inviolabile fedeltà alla Repubblica.

Laubert

Presidente”

(da ‘Il Monitore Napoletano’ a cura di Mario Battaglini, Alfredo Guida editore, Napoli, 1999, pp.127-130).

 

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Fondato nel 1799 da Carlo Lauberg ed Eleonora de Fonseca Pimentel
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Anno CCXXV
Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Napoli Num. 45 dell' 8 giugno 2011
ISSN 2239-7035 (del 14 luglio 2011)
Direttore Responsabile & Editore: GIOVANNI DI CECCA


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