Attentato a Giovanni Paolo II |
Giovedì 27 Dicembre 2012 17:17 | |||||||||||||||||||||||||||
Il 13 maggio 1981, Papa Giovanni Paolo II subì un attentato da parte di Mehmet Ali Agca, un killer professionista turco, che gli sparò due colpi di pistola.
Storia
Pochi minuti dopo essere entrato in piazza San Pietro per un'udienza generale, mentre si trovava a bordo della sua Papamobile scoperta, Karol Wojtyla fu ferito gravemente da due proiettili sparati da Ali Agca. Soccorso immediatamente, fu sottoposto ad un intervento di 5 ore e 30 minuti[1] riuscendo a sopravvivere:
Dimesso dal Policlinico Gemelli il 3 giugno, viene di nuovo ricoverato il 20 dello stesso mese per una grave infezione. Il 5 agosto i medici del Gemelli lo operano ancora. Dal 14 agosto al 30 settembre il papa trascorre la convalescenza a Castel Gandolfo.[3]
La visita ed il perdono del Papa
Due anni dopo, nel Natale del 1983, Giovanni Paolo II volle incontrare il suo attentatore in prigione e rivolgergli il suo perdono. I due parlarono da soli e gli argomenti della loro conversazione sono tuttora sconosciuti.
Il papa disse poi dell'incontro:
Tuttavia, Indro Montanelli riportò in seguito alcune parole che Giovanni Paolo II, durante una cena privata del 1986, gli riferì sull'episodio:
L'attentatore venne condannato all'ergastolo dalla giustizia italiana per attentato a Capo di Stato estero.
La grazia e l'estradizione di Ali Agca
Nel 2000 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli concesse la grazia: Ali Agca, estradato dall'Italia, fu condotto nel carcere di massima sicurezza di Kartal (Turchia), nel quale finì di scontare la pena di dieci anni di reclusione per l'assassinio del giornalista Abdu Ipekci, avvenuto nel 1979.
La reticenza di Ali Agca
Ali Agca non ha mai voluto rivelare in modo chiaro la verità sugli eventi. Ali Agca ha ripetutamente cambiato versione sulla dinamica della preparazione dell'attentato, a volte affermando addirittura di aver avuto aiuti per compiere l'assassinio del Papa dall'interno del Vaticano.
Le indagini e le ipotesi
Le lunghe indagini non portarono mai alla scoperta dei veri mandanti dell'attentato. La commissione Mitrokhin del Parlamento italiano[5], però, analizzando documenti provenienti da Germania ed Ungheria, stilò una relazione di maggioranza, secondo la quale l'attentato sarebbe stato progettato dal KGB in collaborazione con la Stasi, i servizi segreti della Germania Est, con l'appoggio di un gruppo terroristico bulgaro a Roma, che a sua volta si sarebbe rivolto ad un gruppo turco di estrema destra, i Lupi grigi dei quali Ali Agca faceva parte.
Una relazione di minoranza della stessa commissione negò questa tesi; tuttavia, altri documenti scoperti negli archivi sovietici e resi pubblici nel marzo 2005 supporterebbero la tesi che l'attentato sia stato commissionato dall'Unione Sovietica tramite il KDS bulgaro [6]. Le autorità bulgare si sono difese dichiarando che Ali Agca lavorava per un'organizzazione anti-comunista guidata dai servizi segreti italiani e dalla CIA.[6] La difesa delle autorità bulgare è in parte avvalorata dal fatto che i Lupi grigi erano in effetti al comando del Counter-Guerrilla, il braccio in Turchia della rete "stay behind" Gladio[7][8][9][10], sostenuta segretamente dalla CIA e da altri servizi segreti occidentali.
Le motivazioni che avrebbero portato l'URSS a preparare l'attentato non sono state chiarite; secondo i sostenitori di tale ipotesi, probabilmente l'Unione Sovietica temeva l'influenza che un Papa polacco poteva avere sulla stabilità dei loro Paesi satelliti dell'Europa Orientale, in special modo la Polonia.
Tutte queste informazioni vanno considerate come ipotesi, perché ad oggi non sono state comprovate le circostanze e le motivazioni dell'attentato. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, inoltre, dichiarò nel maggio 2002, durante una visita in Bulgaria, di «non aver mai creduto nella cosiddetta connessione bulgara»[6].
D'altro lato, l'inchiesta "Armi e droga" condotta dal giudice Carlo Palermo nel 1980, rivelò che Abuzer Ugurlu (capo della mafia turca che permise ad Ali Agca di entrare in Bulgaria) e Bekir Celenk (contrabbandiere in armi e droga, tramite fra i Lupi grigi e i servizi segreti bulgari, secondo quanto dichiarato da Ali Agca), per agire in tranquillità, lavoravano come "agenti doppi", sia per l'est sia per l'ovest[11].
A queste informazioni si aggiunge quella del coinvolgimento della mafia nell'attentato, suffragata dal memoriale del pentito di Cosa Nostra Vincenzo Calcara sulle dichiarazioni rese a Paolo Borsellino. Calcara racconta di essere stato personalmente incaricato dall'imprenditore mafioso e massone Michele Lucchese (in contatto con il monsignor Paul Marcinkus) di recarsi a Roma il 12 maggio 1981, per prelevare il giorno successivo due turchi armati in piazza San Pietro. Venti minuti dopo l'attentato, all'appuntamento si presentò solo uno dei due, molto agitato e scortato da un uomo, Antonov[12], vicino alla mafia bulgara. Assieme al turco, Saverio Furnari (Capo Decina della Famiglia di Castelvetrano) e Vincenzo Santangelo (definito «figlioccio del Nostro Capo Assoluto Francesco Messina Denaro», quest'ultimo il «braccio destro del Triumvirato della Commissione di Cosa Nostra» e padre di Matteo Messina Denaro) tornarono a Milano e da lì si recarono a Paderno Dugnano, a casa di Lucchese, dove Furnari e Santangelo uccisero il turco («la fine dell'asino», che «si usa fino a che serve, dopo, quando non serve più, si uccide!»). Fu Calcara stesso a seppellirlo, ma quando, dopo la morte di Borsellino, tornò sul luogo con i magistrati, il terreno era stato smosso da scavatrici ed il cadavere, dice Calcara, trafugato.[13]
Un altro attentato
Un altro tentativo di assassinio di Giovanni Paolo II avvenne il 12 maggio 1982 a Fatima, quasi un anno dopo il primo attentato: un uomo tentò di colpire il papa con una baionetta, ma fu fermato dai servizi di sicurezza. L'uomo, un sacerdote spagnolo di nome Juan María Fernández y Krohn, si opponeva alle riforme del Concilio Vaticano II e definiva il Papa un "agente di Mosca". Fu condannato a sei anni di prigione e poi espulso dal Portogallo.
Interpretazioni religiose
Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede analizza l'attentato, mettendolo in relazione con l'ultimo dei Segreti di Fatima[14]. Le differenze sono notevoli: piazza San Pietro non è una ripida montagna e al centro c'è un obelisco egizio, non una grande croce di tronchi grezzi. La città non è in rovina, non è morto nessuno, non gli sparò un gruppo di soldati. D'altra parte è vero che l'attentato è avvenuto nel giorno della ricorrenza della prima Apparizione della Madonna ai pastorelli di Fatima e Giovanni Paolo II, convinto che fu la mano della Madonna a deviare quel colpo e a salvargli la vita, volle che il proiettile fosse incastonato nella corona della statua della Vergine a Fatima.
Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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Ultimo aggiornamento Martedì 12 Febbraio 2013 17:43 |