Gelli Licio |
Mercoledì 05 Giugno 2013 12:04 | ||||||||||||||||||||||||||||||||
Licio Gelli (Pistoia, 21 aprile 1919 - Arezzo 15 dicembre 2015) era un imprenditore, pubblicista e finanziere italiano.
Fu condannato per depistaggio delle indagini della strage di Bologna del 1980. Dopo essere stato detenuto in Svizzera e Francia, vivea ad Arezzo, a Villa Wanda.
Biografia
Il periodo fascista e la resistenza
Figlio di Ettore Gelli, un facoltoso proprietario terriero originario di Montale (PT), e di Maria Gori, Gelli nacque a Pistoia nel 1919.
A diciotto anni Gelli partì volontario con il Corpo Truppe Volontarie appositamente costituito per partecipare alla Guerra civile spagnola in aiuto delle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco. Proprio in Spagna perse in battaglia il fratello maggiore Raffaello. Nel 1939 tornò in Italia e collaborò con la federazione fascista di Pistoia, scrivendo nel settimanale locale della federazione, il Ferruccio, la sua esperienza di guerra. Diventò anche impiegato del GUF, sebbene non ottenesse successi a livello universitario. Comunque veniva molto stimato e preso in considerazione per la sua estrema serietà e precisione nello svolgere le mansioni a lui affidate: schedava persino le marche delle sigarette fumate dagli studenti universitari.
Nel gennaio 1940 pubblicò il suo primo libro: Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna.
Tessera di Gelli appartenente ad una delle organizzazioni del PNF (1941)
Nel luglio 1942 come ispettore del Partito Nazionale Fascista, gli venne affidato il compito di trasportare in Italia il tesoro di re Pietro II di Jugoslavia: 60 tonnellate di lingotti d'oro, 2 di monete antiche, 6 milioni di dollari, 2 milioni di sterline che il SIM (Servizio Informazioni Militare) aveva requisito. Nel 1947 il tesoro venne restituito ma all'appello mancavano 20 tonnellate di lingotti da Gelli trasferiti in Argentina. È stato ipotizzato che parte di queste 20 tonnellate sarebbero tra i preziosi ritrovati nelle fioriere di villa Wanda, ma Gelli ha sempre smentito questa accusa.[1]
Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica di Salò e conseguentemente divenne un ufficiale di collegamento fra il governo fascista e il Terzo Reich. Quando tuttavia la vittoria della guerra cominciò a rivelarsi impossibile per i nazi-fascisti, Gelli aderì al movimento partigiano. I contatti e le conoscenze abilmente acquisite mentre militava tra i fascisti gli consentirono di effettuare con efficacia il doppio gioco: cominciò quindi a trafugare e distribuire di nascosto ai partigiani i lasciapassare rossi della Kommandatura, e fornire ai suoi superiori informazioni fuorvianti per i rastrellamenti che erano in corso sugli Appennini. Insieme al partigiano pistoiese Silvano Fedi, che in seguito venne ucciso in circostanze poco chiare, partecipò alla liberazione di prigionieri politici dal carcere delle Ville Sbertoli, organizzata dal Fedi e dalla sua brigata, della quale facevano parte Enzo Capecchi e Artese Benesperi che furono gli artefici dell'azione[2].
Il 16 dicembre 1944 sposò Wanda Vannacci (nata a Pistoia 31 gennaio 1926 e morta il 14 giugno 1993) dalla quale ebbe quattro figli, Raffaello (nato a Pistoia il 28 giugno 1947), Maria Rosa (nata a Pistoia il 22 dicembre 1952), Maria Grazia (nata a Pistoia il 9 settembre 1956 e deceduta a Firenze il 21 giugno 1988) e Maurizio (nato a Pistoia il 25 ottobre 1959)[3].
Dopo la seconda guerra mondiale
Dopo la seconda guerra mondiale, si ipotizza che Gelli si sia arruolato nella CIA, su raccomandazione dei servizi segreti italiani (ma tale ipotesi non è stata verificata). In ogni caso, fu messo in stretta relazione da Edward Herman con Michael Ledeen, che è da molti ritenuto uno stretto collaboratore o un agente della CIA[4]. Fu un collaboratore delle agenzie di intelligence britanniche e americane.
Il libretto di pensione di Gelli, rilasciato nel 1949
Licio Gelli (al centro) con Giulio Andreotti (a destra) all'inaugurazione dello stabilimento Permaflex di Frosinone
Nel 1956 Gelli diventa direttore della Permaflex di Frosinone, in area di Cassa per il Mezzogiorno. Durante la sua direzione lo stabilimento diviene un via vai di politici ministri, vescovi e generali.[5]
Dal 1948 al 1958, Gelli fu portaborse del deputato democristiano Romolo Diecidue, eletto nel collegio di Firenze-Pistoia. In seguito si dedicò alla scalata all'interno della Massoneria, fino a diventare Maestro Venerabile della loggia Propaganda 2 (detta P2) nella quale riuscì a concentrare un consistente numero di soggetti titolari di cariche politiche ed amministrative, per questo motivo posti "in sonno" ed i cui nomi sarebbero stati noti soltanto ("all'orecchio") del Gran Maestro. Benché per molti si trattasse soltanto di un'ulteriore e ben frequentata sede di affarismo politico, nel corso degli anni settanta essa si sarebbe qualificata per aver concentrato i protagonisti di un disegno eversivo, di cui fu traccia il "piano di rinascita democratica" redatto da Francesco Cosentino su istruzioni dello stesso Gelli.
Questi nel 1970 avrebbe dovuto arrestare il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, nell'ambito del fallito Golpe Borghese; Gelli ha sempre smentito questa ipotesi. Gelli è stato accusato di aver avuto un ruolo preminente nell'Operazione Gladio, una struttura clandestina di tipo "stay-behind", promossa dalla NATO e finanziata in parte dalla CIA allo scopo di contrastare l'influenza comunista in Italia, così come negli altri paesi europei. L'affaire Gladio è stato affrontato (anche giudizialmente) senza collegamenti diretti alla questione P2.
Gelli ripetutamente dichiarò in pubblico di essere stato uno stretto amico del leader argentino Juan Domingo Perón – e spesso ha affermato che tale amicizia è stata veramente importante per l'Italia, senza però aver mai spiegato perché – e proprio molti esponenti della camarilla di potere dell'ultimo peronismo, così come del golpismo uruguayano degli anni settanta, risultarono iscritti alla sua loggia massonica.
Gelli fu creato conte sul cognome dall'ex re Umberto II d'Italia, con Regie Lettere Patenti di concessione del 10 luglio 1980[6]. Gli venne concesso altresì il seguente stemma: "trinciato, alla catena d'oro sulla partizione; di rosso all'elmo piumato d'oro; d'azzurro alla croce latina d'oro, accompagnato da tre stelle d'argento a quattro raggi, male ordinate" con il motto "Virtute progredior"[7].
La lista P2
Il 17 marzo 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di un'inchiesta sul finto rapimento del finanziere Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli a Castiglion Fibocchi (AR) e la fabbrica di sua proprietà (la Giole, sempre a Castiglion Fibocchi), che portò alla scoperta di una lunga lista di alti ufficiali delle forze armate e di funzionari pubblici aderenti alla P2[9]. La lista, la cui esistenza era presto divenuta celebre grazie ai media, includeva anche l'intero gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, parlamentari, industriali, giornalisti e personaggi facoltosi come il più volte Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Costanzo. Vi sono molti elementi, a partire dalla numerazione, che lasciano tuttavia ritenere che la lista rinvenuta fosse incompleta.
In fuga, Licio Gelli scappò in Svizzera, dove fu arrestato mentre cercava di ritirare decine di migliaia di dollari a Ginevra, ma riuscì ad evadere dalla prigione. Fuggì quindi in Sudamerica, prima di costituirsi nel 1987. Lo scandalo nazionale conseguente alla scoperta delle liste fu quasi drammatico, dato che molte delle più delicate cariche della Repubblica Italiana erano occupate da affiliati all'organizzazione di Gelli. La corte centrale del Grande Oriente d'Italia, con una sentenza del 31 ottobre 1981, decretò l'espulsione del Gelli dall'Ordine massonico. Il Parlamento italiano approvò in tempi rapidi una legge per mettere al bando le associazioni segrete in Italia e contemporaneamente (dicembre 1981), venne creata una commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta dalla deputata Tina Anselmi (della Democrazia Cristiana), che riferirà al parlamento dopo 2 anni e mezzo di lavori.
Nelle conclusioni della relazione di maggioranza di questa commissione sulla P2 e su Gelli si legge:
L'8 maggio 2010 Licio Gelli diede mandato al direttore del periodico Il Piave, Alessandro Biz, di contattare la Anselmi per organizzare un incontro al fine di "discutere in modo civile della loggia massonica P2" dopo quasi trent'anni, ma l'incontro non si rese possibile per le condizioni di salute dell'ex parlamentare dello Scudo Crociato[10].
Coinvolgimenti con Gladio
Con Stefano Delle Chiaie e Francesco Pazienza, è stato coinvolto nel processo per la Strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, nella quale furono uccise 85 persone e 200 rimasero ferite. Questo attentato terroristico era parte della strategia della tensione. Con la sentenza definitiva di Cassazione sulla strage di Bologna, il 23 novembre 1995, Gelli viene condannato per depistaggio.
In ogni caso, Licio Gelli fu condannato nel 1994 a 12 anni di carcere, dopo essere stato riconosciuto colpevole della frode riguardante la bancarotta del Banco Ambrosiano nel 1982 (vi era stato trovato un "buco" di 1,3 miliardi di dollari) che era collegato alla banca del Vaticano, l'Istituto per le Opere di Religione (IOR). Affrontò inoltre una sentenza di tre anni relativa alla loggia P2. Scomparve mentre era in libertà sulla parola, per essere infine arrestato sulla Riviera francese a Cannes. La polizia rinvenne nella sua villa oltre 2 milioni di dollari in lingotti d'oro[11][12].
È indiscutibile che la loggia P2 abbia avuto un certo potere in Italia, dato il "peso" pubblico dei suoi affiliati, e molti osservatori ritengono che ancora oggi esso sia forte. Numerosi personaggi ancora oggi famosi in Italia erano iscritti alla P2: tra questi, Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo, Vittorio Emanuele di Savoia, l'editore Angelo Rizzoli, il segretario del PSDI Pietro Longo ed altri esponenti della politica, della magistratura e della finanza.
Il 28 settembre 2003 il sito Repubblica.it pubblica un'intervista a Licio Gelli durante la quale egli afferma che «Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa. Tutto nel piano di Rinascita, che preveggenza, è finita proprio come dicevo io»[13].
Scandalo del Banco Ambrosiano
Uno degli affiliati della P2 era il finanziere Michele Sindona, il quale nel 1972 aveva acquistato il controllo della Franklin National Bank di Long Island. Nel 1977, in seguito alla bancarotta delle sue banche, Sindona si rivolse a Gelli per elaborare piani di salvataggio della Banca Privata Italiana, la principale del gruppo Sindona; Gelli stesso interessò Giulio Andreotti, il quale gli riferì che "la cosa andava positivamente" ed incaricò informalmente il senatore Gaetano Stammati (anch'egli affiliato alla loggia P2) e Franco Evangelisti di studiare il progetto di salvataggio della Banca Privata Italiana, il quale venne però rifiutato da Mario Sarcinelli, vice direttore generale della Banca d'Italia[14].
Nel 1979 Sindona attuò un tentativo estremo di salvataggio e si nascose in Sicilia, aiutato da esponenti massoni e mafiosi, simulando un rapimento: durante questo periodo mandò almeno due volte ad Arezzo il suo medico di fiducia Joseph Miceli Crimi (anch'egli affiliato alla P2) per convincere Gelli a continuare a fare pressioni ai suoi precedenti alleati politici, tra cui Giulio Andreotti, per portare a buon fine il salvataggio delle sue banche e recuperare il denaro sporco investito per conto dei boss mafiosi; in cambio Sindona avrebbe offerto a Gelli la cosiddetta "lista dei cinquecento", l'elenco di notabili che avevano esportato capitali illegalmente. Tuttavia tutti i tentativi di salvataggio fallirono[15][16]. Nel 1986 Sindona fu avvelenato nella sua cella mentre scontava una sentenza a vita[17][18].
Qualche anno dopo molti sospetti si sono concentrati su Gelli in relazione al fallimento finanziario del Banco Ambrosiano e al suo eventuale coinvolgimento nell'omicidio del banchiere milanese Roberto Calvi (affiliato pure alla P2), che era stato in carcere proprio per il crack dell'Ambrosiano e, dopo essere tornato in libertà, venne ritrovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge a Londra: infatti Gelli e Calvi avevano investito denaro sporco nello IOR e nel Banco Ambrosiano per conto del boss mafioso Giuseppe Calò, che curava gli interessi finanziari del clan dei Corleonesi[19][20]. A proposito, il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia ha dichiarato:
Il 19 luglio 2005, Gelli è stato formalmente indiziato dai magistrati romani per la morte di Calvi. Gelli, nel suo discorso di fronte ai giudici, incolpò personaggi connessi con i finanziamenti di Roberto Calvi al movimento polacco Solidarnosc, presumibilmente per conto del Vaticano.
Condanne
Licio Gelli è stato condannato con sentenza definitiva per i seguenti reati:
Nel 1993 venne indagato per offesa all'onore dell'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per un articolo pubblicato sul mensile trevigiano Il Piave[22].
L'archivio di Gelli
L'11 febbraio 2006 Licio Gelli ha donato al Comune di Pistoia il proprio "archivio non segreto", nell'ambito di una discussa cerimonia ufficiale, svolta sotto il patrocinio dello stesso Comune, ma alla quale gli amministratori comunali pistoiesi hanno preferito non prendere parte. [23][24][25][26] Restano tuttora segreti, e nella sola disponibilità del "Venerabile", i numerosi archivi distribuiti tra Montevideo, la Svizzera, villa Wanda, Castiglion Fibocchi, l'Argentina e Montecarlo. Della cosiddetta "rubrica dei 500" (426 fascicoli da Gelli intestati a uomini d'affari, politici, società, banche, ecclesiastici ecc.) Guardia di Finanza ed inquirenti non sono mai riusciti a reperire il contenuto.
Dittatura argentina
Licio Gelli aveva coltivato buoni rapporti con i generali argentini Roberto Eduardo Viola e Emilio Massera, durante il periodo della dittatura. Durante questo periodo che va dal 1976 al 1983 ci furono 2.300 omicidi politici e tra le 10.000 e le 30.000 persone vennero uccise o "scomparvero" (desaparecidos) e molte altre migliaia vennero imprigionate e torturate. Gelli riceverà pure un passaporto diplomatico dell’Argentina.[27]
Massera[28] pochi giorni dopo il golpe, il 28 marzo 1976, scrisse a Gelli per esprimere "la sua sincera allegria per come tutto si fosse sviluppato secondo i piani prestabiliti" e augurargli "un governo forte e fermo sulle sue posizioni e nei suoi propositi che sappia soffocare l'insurrezione dei dilaganti movimenti di ispirazione marxista".[29]. I rapporti con i militari continueranno dopo il ritorno della democrazia in Argentina, nel 1983. Nel 1987 la tomba di Juan Peron fu profanata e furono asportate le mani dal corpo. Una ricerca giornalistica ha sostenuto che la P2 di Licio Gelli è stata coinvolta nella dissacrazione del corpo di Perón.[30]
Vecchiaia
Dal 2001 Licio Gelli è in detenzione domiciliare nella sua villa Wanda di Arezzo, ubicata sulla collina di Santa Maria delle Grazie a ridosso del centro storico, dove sconta la pena di 12 anni per la bancarotta fraudolenta dell'Ambrosiano[32]. Di se stesso nel 2003 disse:
In Arezzo il 2 agosto 2006 sposa in seconde nozze Gabriela Vasile nata a Lupsa (Romania) il 17 settembre 1938[3].
Nel 2008 ha partecipato al programma Venerabile Italia su Odeon TV come intervistato. Villa Wanda è stata sequestrata dallo Stato ma, dopo varie aste andate deserte è stata affidata a Licio Gelli come custode giudiziario Negli ultimi anni Licio Gelli si è occupato di poesia, pubblicando svariate raccolte di liriche e vincendo numerosi premi letterari. Attento anche a valorizzare poeti emergenti nel 2012 ha firmato la prefazione al libro Proteo Liberato del giovane poeta Emanuele Franz.
Critiche
Gelli è uno dei personaggi più controversi del panorama politico-giudiziario italiano. Il dibattito intorno alla sua figura si è fatto ancor più arroventato in occasione di alcuni suoi articoli particolarmente pungenti pubblicati sul giornale mensile trevigiano Il Piave: uno sull'informazione in Italia[33], l'altro sulla democrazia italiana[34], un altro ancora sulla magistratura[35]. Da segnalare anche l'ultimo dove attacca Antonio Di Pietro[36], pur essendo questi l'unico pubblico ministero al quale abbia mai fatto ammissioni di responsabilità sul conto protezione[37].
Filmografia
Titoli e onorificenze
Queste le onorificenze ed i titoli[39]:
Onorificenze
Titoli
Note
Collegamenti esterni
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Ultimo aggiornamento Mercoledì 16 Dicembre 2015 09:26 |