Loggia Massonica Propaganda Due (P2) |
Mercoledì 05 Giugno 2013 11:37 | |||||||||||||
La Propaganda due, più nota come P2, fu una loggia massonica aderente al Grande Oriente d'Italia, fondata nel 1877 col nome di Propaganda massonica[1], ma che assunse forme deviate rispetto agli statuti della massoneria ed eversive nei confronti dell'ordinamento giuridico italiano, nel periodo della sua conduzione da parte dell'imprenditore Licio Gelli. La P2 fu sospesa dal G.O.I. il 26 luglio 1976 e successivamente sciolta dal Parlamento della Repubblica Italiana, con legge del 25 gennaio 1982, n. 17[2].
Sin dalla fondazione, la caratteristica principale della loggia Propaganda massonica fu quella di garantire un’adeguata copertura e segretezza agli iniziati di maggior importanza, sia all’interno che al di fuori dell’organizzazione massonica[1]. L'originale loggia operò fino al 1925, quando furono temporaneamente sciolte tutte le logge massoniche, su impulso del regime fascista.
Dopo la caduta del regime fascista, le attività delle logge massoniche ripresero e la loggia, ribattezzata “Propaganda due”, nel secondo dopoguerra[5], tornò ad essere alle dipendenze dirette del Gran maestro dell’Ordine sino all’avvento di Licio Gelli. Quest’ultimo venne prima delegato dal Gran maestro Lino Salvini a rappresentarlo in tutte le funzioni all’interno della loggia (1970)[6], poi ne fu nominato Maestro venerabile, cioè “capo” a tutti gli effetti (1975)[7].
Nel periodo della maestranza di Gelli, la P2 riuscì a riunire in segreto almeno un migliaio di personalità di primo piano, principalmente della politica e dell'Amministrazione dello Stato, a fini di sovversione dell'assetto socio-politico-istituzionale italiano[8] e suscitando uno dei più gravi scandali politici nella storia della Repubblica Italiana.
Tra i vari crimini attribuiti alla P2, oltre al cospirazionismo politico per assumere il controllo dell'Italia, si possono citare la strage dell'Italicus, la strage di Bologna, lo scandalo del Banco Ambrosiano, l'assassinio di Roberto Calvi, l'ipotetico assassinio di Albino Luciani (ovvero Papa Giovanni Paolo I), il depistaggio sul rapimento di Aldo Moro, l'assassinio di Carmine Pecorelli e alcune affiliazioni con lo scandalo di Tangentopoli.
Origini
Con la proclamazione dello Stato unitario, sorse l’esigenza, da parte del “Grande Oriente d’Italia”, cioè la più importante e numerosa comunione massonica d’Italia, di salvaguardare l’identità degli affiliati più in vista, anche all’interno dell’organizzazione. Per tale motivo, l’adesione di quest’ultimi non figurava in nessun elenco ufficiale, ma era nota al solo Gran maestro, risultandogli come iniziazione “all’orecchio”. Fu solo nel 1877 che il Gran maestro Giuseppe Mazzoni, iniziò a stilarne un elenco denominato propaganda massonica, costituendo ufficialmente la loggia in questione[1].
Adriano Lemmi (Gran maestro dal 1885 al 1895), fu iniziato alla loggia “Propaganda” già nel 1877, e contribuì a darle prestigio, riunendo al suo interno deputati, senatori e banchieri che, in ragione dei loro incarichi, erano costretti a lasciare le loro logge territoriali e stabilirsi a Roma. Tra gli iniziati o affiliati più famosi della fine del secolo XIX si ricordano: Agostino Bertani (1883)[9], Giosuè Carducci (1886)[10], Luigi Castellazzo (1888)[11], Giuseppe Ceneri (1885)[12], Giuseppe Aurelio Costanzo (1889)[13], Francesco Crispi (1880)[14], Nicola Fabrizi[15], Camillo Finocchiaro Aprile[16], Menotti Garibaldi (1888)[17], Pietro Lacava[18], Ernesto Nathan (1893)[19], Aurelio Saffi (1885)[20], Gaetano Tacconi (1885)[21] e Giuseppe Zanardelli (1889)[22].
Anche dopo la Gran maestranza di Lemmi, la loggia “propaganda” continuò a rappresentare un riferimento importante nell’organizzazione del Grande Oriente massonico. Tra gli affiliati dell’inizio del XX secolo si segnalano: Giovanni Ameglio (1920)[23], Mario Cevolotto[24], Eugenio Chiesa (1913)[25], Alessandro Fortis (1909)[26], Gabriele Galantara (1907)[27], Arturo Labriola (1914)[28] e Giorgio Pitacco (1909)[29].
Nel 1925, su impulso del Governo fascista, fu promulgata la legge sulla “Regolamentazione dell’attività delle associazioni e l’appartenenza alle medesime del personale dipendente dallo Stato” (cosiddetta “legge contro la massoneria”), costringendo il Gran maestro, Domizio Torrigiani, a firmare il decreto di scioglimento di tutte le logge (26 novembre 1925)[30]. La massoneria italiana, peraltro, si ricostituì in esilio, a Parigi, il 12 gennaio 1930[31].
Alla fine della Seconda guerra mondiale, e con il rientro in Italia del Grande Oriente, il Gran maestro Ugo Lenzi (1949-1953) ricostituì la loggia "Propaganda", che prese il nome "Propaganda 2"[5] per ragioni di numerazione delle logge italiane imposte da necessità organizzative.
La P2 e Licio Gelli
Licio Gelli ai tempi dell'esplosione del caso P2
Licio Gelli, un piccolo imprenditore toscano che in passato si era schierato sia col fascismo (combattendo come volontario nella guerra civile spagnola ed essere poi agente di collegamento con i nazisti durante l'occupazione della Jugoslavia), sia con l'antifascismo (organizzando la fuga dei partigiani dal carcere delle Ville Sbertoli in collaborazione col partigiano Silvano Fedi), fu iniziato alla massoneria il 6 novembre 1963, presso la loggia “Gian Domenico Romagnosi” di Roma[5]. Gelli aveva ottenuto anche aderenze presso la "corte" del generale argentino Juan Domingo Perón (una fotografia lo ritrae alla Casa Rosada insieme al presidente ed a Giulio Andreotti); fu successivamente affiliato alla loggia “Hod” dal Maestro venerabile Alberto Ascarelli, e promosso al grado di “maestro”.
Nella “Hod”, Gelli cominciò ad inserire numerosi personaggi di spicco, destando l’apprezzamento del suo Maestro venerabile, che lo presentò a Giordano Gamberini, Gran maestro dell’Ordine. Gelli convinse Gamberini ad iniziare “sulla spada” (cioè al di fuori dello specifico rituale massonico) i nuovi aderenti, e ad inserirli nell’elenco dei “fratelli coperti” della loggia P2[32].
Il 15 giugno 1970, Lino Salvini (succeduto da poco a Giordano Gamberini come Gran maestro del Grande Oriente d'Italia), delegò a Gelli la gestione della loggia P2, conferendogli la facoltà di iniziare nuovi iscritti[6], anche “all’orecchio” - funzione che tradizionalmente fino ad allora era prerogativa esclusiva del Gran maestro - e nominandolo altresì “segretario organizzativo” (19 giugno 1971). Da allora in poi, il solo Licio Gelli sarebbe stato a conoscenza dell’elenco dei nominativi degli affiliati alla loggia P2. Una volta preso il potere al vertice della loggia, Gelli la trasformò in un punto di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari.
Nel dicembre 1970 Licio Gelli e la P2 presero parte al Golpe Borghese, come descritto nel dossier del SID consegnato incompleto da Andreotti nel 1974 alla magistratura romana e reso pubblico nella versione integrale solo nel 1991; le parti cancellate (omesse perché, a detta di Andreotti, avrebbero causato un terremoto politico per via dei nomi implicati) includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981, e i nomi e la compartecipazione della P2 e di Licio Gelli, che si sarebbe dovuto occupare del rapimento dell'allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Già nel 1974, il generale di brigata Giovanni Allavena, allontanato dal SIFAR il 12 giugno 1966 e affiliato alla P2, aveva fatto pervenire a Gelli i fascicoli riservati del SIFAR di cui era stata disposta la distruzione da parte del Ministero della Difesa. Tra essi i fascicoli relativi all'ex Ministro della difesa Roberto Tremelloni, al più volte Presidente del Consiglio Amintore Fanfani, a Giorgio La Pira, al futuro Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri Francesco Malfatti e al Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat[33]. L’utilizzo fattone da Gelli non è ancora del tutto chiaro.
Il treno Italicus dilaniato dall'esplosione di una bomba
Nella notte del 4 agosto 1974, a San Benedetto Val di Sambro, avvenne la Strage dell'Italicus: morirono 12 persone e ne furono ferite 48. Pur concludendosi con l'assoluzione generale di tutti gli imputati, stante l'impossibilità di determinare concretamente le personalità dei mandanti e dei materiali esecutori, la sentenza di assoluzione attribuì comunque la strage a Ordine Nero e alla P2[34] definendo come pienamente comprovata una notevole serie di circostanze del tutto significative e univoche in tal senso, che nel frattempo erano state richiamate dalla Relazione della Commissione Parlamentare sulla Loggia P2[35][36].
Ben presto sorsero contrasti tra Gelli e Salvini. Nel dicembre 1974, a Napoli la Gran Loggia dei Maestri venerabili del GOI, su proposta del Gran maestro, decretò lo scioglimento della secolare loggia P2, offrendo agli iniziati, in alternativa alle dimissioni, la possibilità di entrare in una loggia regolare o di affidarsi "all'orecchio" del Gran maestro[37].
La reazione di Gelli ebbe effetti devastanti per la carriera del Gran maestro Salvini. Nel 1973, si erano riunificate le due famiglie massoniche di "Palazzo Giustiniani" e quella di "Piazza del Gesù" (quest'ultima nata da una scissione negli anni sessanta avvenuta nella Serenissima Gran Loggia d'Italia), guidata da Francesco Bellantonio, ex funzionario dell'ENI e parente di Michele Sindona. Come conseguenza di questa riunificazione (che ebbe vita breve, solo 2 anni) la loggia Giustizia e Libertà – loggia "coperta" del gruppo massonico di "Piazza del Gesù", che contava tra i suoi iscritti il procuratore generale della Procura di Roma Carmelo Spagnuolo e l'avv. Martino Giuffrida di Messina - aveva visto molti iscritti passare "all'orecchio" del Gran maestro del GOI. Approfittando del malcontento di quest'ultimi, Gelli prese immediatamente contatto con Bellantonio e il suo gruppo, con l'obiettivo di cambiare i vertici del Grande Oriente d'Italia[38].
In occasione della Gran Loggia tenutasi nel marzo 1975, l'avv. Giuffrida produsse prove su presunti reati finanziari (finanziamenti illeciti ai partiti, provenienti dalla FIAT e dalla Confindustria; traffici illeciti e contrabbando nel porto di Livorno; tangenti private) compiuti dal Gran maestro[39], suscitando la richiesta a gran voce delle dimissioni di Salvini, da parte dell'assemblea.
Durante una sospensione dei lavori Gelli e Salvini raggiunsero un accordo in base al quale la Gran Loggia avrebbe riconfermato la fiducia al Gran maestro; in contropartita, quest'ultimo ricostituiva nuovamente la Loggia P2, riaffidandola a Licio Gelli[40] e nominandolo Maestro Venerabile (12 maggio 1975). L'affiliazione alla loggia sarebbe stata sottoposta a verifica da parte dell'ex Gran maestro Giordano Gamberini, "all'orecchio" del quale dovevano pervenire le iniziazioni "coperte". Gelli, tuttavia, convinse Gamberini ad effettuare le eventuali "concelebrazioni" non in un tempio massonico, ma in un appartamento all'Hotel Excelsior di Roma e - soprattutto - a sottoscrivere in bianco almeno quattrocento brevetti di ammissione, cui in seguito avrebbe aggiunto i nominativi degli affiliati[41].
Nell'agosto 1975, subito dopo la vittoria elettorale del P.C.I. alle elezioni regionali, Gelli mise a punto uno Schema R, che trasmise addirittura al Presidente della Repubblica Giovanni Leone, senza ottenere riscontri. Nel documento il massone aretino propugnava l'instaurazione della Repubblica presidenziale, la riduzione del numero dei parlamentari e l'abolizione delle loro immunità; propose anche l'abolizione del servizio militare di leva e la sua sostituzione con un esercito di professione[42].
Poco meno di un anno dopo, alcune indagini della magistratura condussero all'arresto nel nuovo segretario organizzativo della loggia P2, l'avv. Gian Antonio Minghelli, con l'accusa di legami con il clan del gangster marsigliese Albert Bergamelli, quali i sequestri di persona e il riciclaggio di denaro sporco[41]. Gelli ne approfittò per chiedere a Salvini la "sospensione" ufficiale di tutte le attività della P2 (26 luglio 1976), circostanza che gli permise di evitare il passaggio elettorale per la regolare conferma della sua maestranza venerabile e di continuare a dirigere la loggia in regime di prorogatio, a tempo indeterminato[41]. In pratica, la P2 continuò ad esistere come gruppo gestito direttamente da Gelli, il quale manteneva personalmente i rapporti con Salvini e Gamberini (che, dopo il 1976, nella sua veste di "garante", continuò a "concelebrare" molte iniziazioni per conto della Loggia P2) e gli altri vertici della massoneria[8]. Fatto sta che il 15 aprile 1977, pur essendo ufficialmente sospese le attività della P2, Il Gran maestro Salvini conferì a Gelli una sorta di "delega in bianco" autorizzandolo a promuovere tutte le attività che avesse reputato di interesse e di utilità per la massoneria, rispondendo unicamente al Gran maestro per le azioni intraprese a tale scopo[43].
Nel 1978, il Gran maestro Lino Salvini rassegnò le dimissioni dalla guida del GOI in anticipo sulla scadenza del mandato. La Gran Loggia dei Maestri venerabili elesse al suo posto l'ex generale dell'aeronautica Ennio Battelli, il quale confermò la delega e la posizione speciale di Gelli nell'ambito della massoneria, imponendo peraltro la sua presenza o quella dell'ex Gran maestro Gamberini, durante le cerimonie di affiliazione dei nuovi aderenti ed escludendo pertanto ogni iniziazione "all'orecchio" da parte del Gelli[44]. Ne consegue che tutte le iniziazioni a partire da tale data, ancorché effettuate in una sede irrituale quale l'Hotel Excelsior di Roma, furono celebrate alla presenza del Gran maestro in carica o di Giordano Gamberini.
Nel frattempo, l'affluenza delle iniziazioni diviene sempre più intensa e copre tutti i settori della vita politica, economica e sociale italiana. Per una gestione efficace, Gelli dispone il decentramento degli affiliati in circoscrizioni regionali: ogni gruppo regionale dovrà far riferimento ad un coordinatore con il grado di "maestro", responsabile della presentazione al Maestro venerabile dei nuovi adepti[45].
Soccorsi si avviano verso la stazione di Bologna dopo l'esplosione che ha distrutto l'edificio
Ma l'attività di Gelli non si limita al semplice reclutamento di personaggi più o meno importanti: il 23 novembre 1995 Gelli sarà condannato in via definitiva per depistaggio nel processo per la Strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, nella quale furono uccise 85 persone e 200 rimasero ferite. Il depistaggio fu messo in atto, in concorso con il generale del SISMI Pietro Musumeci, aderente alla P2, e il colonnello dei Carabinieri Giuseppe Belmonte, sistemando una valigia carica di armi, esplosivi, munizioni, biglietti aerei e documenti falsi sul treno Taranto-Milano del 13 gennaio 1981. Per quanto riguarda i tentativi di controllo della stampa e dei mass-media, vedasi l'apposita sezione più avanti. In ogni caso, Licio Gelli sarà anche riconosciuto colpevole della frode riguardante la bancarotta del Banco Ambrosiano collegato alla banca del Vaticano, lo IOR (vi si trovò un "buco" di 1,3 miliardi di dollari). Infine, dopo una perquisizione, la polizia rinvenne nella sua villa oltre 2 milioni di dollari in lingotti d'oro[46][47].
Nel periodo dal 1976 al 1981 la P2 ebbe la massima espansione ed influenza e cominciò ad operare anche all'estero (pare che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela, Argentina e in Romania, paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di influire sulle rispettive situazioni politiche)[48].
Il 5 ottobre 1980, Gelli confezionò un'intervista per il Corriere della Sera - che la pubblicò - nella quale si sintetizzavano gli obiettivi già descritti nel citato Piano R, e che saranno rinvenuti nel Piano di rinascita democratica[49]. Il 17 marzo 1981 ci fu il rinvenimento della lista dei 962 affiliati alla loggia e lo scandalo conseguente.
Sette mesi dopo, il 31 ottobre 1981, la corte centrale del Grande Oriente d'Italia espulse Gelli dal consesso massonico[50]. Pur tuttavia il Grande Oriente ritenne di non poter procedere allo scioglimento della "Loggia Propaganda 2", essendo la sua attività all'interno del GOI ufficialmente sospesa sin dal 1976. In tale contesto, per il GOI, tutte le attività gestite dal Gelli dal 1976 sino a quel momento, eccedenti la normale amministrazione della loggia da lui diretta in regime transitorio, erano state adottate autonomamente, e non dovevano essere ricondotte alla responsabilità dell'Ordine massonico. Nulla si disponeva nei confronti degli altri 961 iscritti alla loggia, che - di conseguenza - restavano a far parte della massoneria italiana.
La commissione Anselmi nella sua relazione parlò a proposito dei rapporti tra Gelli e la massoneria di «rapporti non chiari di reciproca dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i Gran Maestri e con i loro collaboratori diretti» e specificando che:
Un'apposita legge, la numero 17 del 25 gennaio 1982, sciolse definitivamente la P2 e rese illegale il funzionamento di associazioni segrete con analoghe finalità, in attuazione del secondo comma dell'articolo 18 della Costituzione Italiana[51].
La scoperta della lista
Il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di una inchiesta sul presunto rapimento dell'avvocato e uomo d'affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo, "Villa Wanda", e la fabbrica di sua proprietà (la "Giole" a Castiglion Fibocchi presso Arezzo – divisione giovane di "Lebole"); l'operazione, eseguita dalla sezione del colonnello Bianchi della Guardia di Finanza, scoprì fra gli archivi della "Giole" una lista di quasi mille iscritti alla loggia P2, fra i quali il comandante generale dello stesso corpo, Orazio Giannini (tessera n. 832). Lo stesso Michele Sindona comparve nella lista degli iscritti alla P2, confermando le intuizioni dei giudici istruttori. Il colonnello Bianchi resistette a vari tentativi di intimidazione, in quanto erano ancora al potere gran parte delle persone che ivi erano citate, e trasmise la lista agli organi competenti.
Il Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani attese il 21 maggio 1981, prima di rendere pubblica la lista degli appartenenti alla P2, che comprendeva i nominativi di 2 ministri allora in carica (Enrico Manca, PSI e Franco Foschi, DC) e n. 5 sottosegretari (Costantino Belluscio, PSDI; Pasquale Bandiera, PRI; Franco Fossa, PSI ; Rolando Picchioni, DC e Anselmo Martoni, PSDI, quest'ultimo - peraltro - citato come "in sonno", cioè dimissionario).
Ricevuta di pagamento per l'iscrizione di Silvio Berlusconi alla loggia massonica P2
Una volta diffusa, la lista divenne presto memorabile. Tra i 962 iscritti (molti dei quali negheranno il loro coinvolgimento nella loggia), spiccavano i nomi di 44 parlamentari (compresi i succitati componenti del governo in carica), un segretario nazionale di partito (PSDI), 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell'esercito italiano, 4 dell'aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche di giornalisti, personaggi legati al mondo dello spettacolo ed imprenditori come Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Maurizio Costanzo, Alighiero Noschese (morto suicida più di due anni prima della scoperta della lista), Claudio Villa, Paolo Mosca e il personaggio televisivo professor Fabrizio Trecca (capo gruppo); in compagnia di Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani, Leonardo Di Donna (presidente dell'ENI) e Duilio Poggiolini, insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori.
Fra i generali, la stampa fece più volte il nome di Carlo Alberto Dalla Chiesa, sebbene risultasse solo un modulo di iscrizione firmato di suo pugno e nessuna prova di un'adesione attiva[52].
Circa i servizi segreti, si notò che vi erano iscritti non solo i capi, (fra i quali Vito Miceli a capo del SIOS e successivamente direttore del SID, Giuseppe Santovito del SISMI, Walter Pelosi del CESIS e Giulio Grassini del SISDE) che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Fra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei fascicoli SIFAR), il colonnello Giovanni Minerva (gestore fra l'altro dell'intricato caso dell'aereo militare "Argo 16" e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell'intero Servizio militare del dopoguerra) ed il generale Gian Adelio Maletti, che con il capitano Antonio La Bruna (anch'egli iscritto) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato e condannato per favoreggiamento.
La naturale funzione dei servizi segreti, va osservato, sarebbe effettivamente ben compatibile con la possibile infiltrazione di elementi anche in questa organizzazione, per legittimi motivi di servizio; la concentrazione però di così tanti elementi di elevato grado, non è mai riuscita a volare indenne sopra il sospetto.
Fu avanzata l'ipotesi che la lista trovata a Villa Wanda non fosse la lista completa, e che molti altri nomi siano riusciti a non restare coinvolti. Nella ricostruzione della Commissione d'Inchiesta, ai circa mille della lista trovata sarebbero da aggiungere i presunti appartenenti a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l'anello di congiunzione con la loggia. Lo stesso Gelli, come evidenziato anche dalla commissione Anselmi, in un'intervista del 1976, aveva parlato di più di duemilaquattrocento iscritti.
Secondo il procuratore di Roma del periodo, gli iscritti delle due liste dovevano essere complessivamente 2000 e in un'intervista rilasciata da Gelli al settimanale L'espresso del 10 luglio 1976 questi affermò che gli iscritti alla Loggia P2 erano allora 2400 (secondo la commissione parlamentare che ebbe modo di leggere alcune corrispondenze tra Gelli e i capigruppo della loggia, intorno al 1979 vi fu una revisione generale degli elenchi degli iscritti, per cui le persone iscritte dopo quella data potevano effettivamente essere in numero minore). Altre liste, per un totale di 550 nomi (di cui 180 circa ricompaiono nell'elenco dei 962 precedenti), comprensivi degli affiliati che Gelli aveva provveduto a "riconsegnare" al Grande Oriente d'Italia sino al 6 ottobre 1976, furono prodotte in aula dal deputato socialdemocratico Costantino Belluscio, in data 1 luglio 1981[53]. Comunque sia, una buona metà dei nomi mancherebbe ancora all'appello ed anche diversi appartenenti alla massoneria ascoltati dalla suddetta commissione affermarono che la lista era veritiera ma incompleta
Lo stesso Gelli, commentando la presenza di numerosi iscritti alla P2 nei comitati di esperti che si occuparono del rapimento di Aldo Moro (marzo-maggio 1978), ha affermato che la presenza di un elevato numero di affiliati alla loggia in questi era dovuto al fatto che al tempo molte personalità di primo piano erano iscritte, quindi era naturale che in questi se ne trovassero diverse. Gelli affermò che normalmente gli aderenti non erano a conoscenza dell'identità degli altri iscritti, ma che l'esistenza della loggia P2 era comunque nota, avendone parlato anche in diverse interviste ben prima della scoperta della lista.[54]
La commissione parlamentare Anselmi, creata il 9 dicembre 1981, ritenne che la P2 fosse strutturata come due piramidi sovrapposte, con i 962 nomi della lista appartenenti alla piramide in basso, Gelli come punto di congiunzione tra le due piramidi e una piramide superiore composta da nomi che figuravano su un'altra lista composta da personaggi che trasmettevano gli ordini alla piramide inferiore. A detta di alcuni giornalisti, tale lista sarebbe stata portata da Gelli a Montevideo
Circa il vertice occulto, poi, è nota la clamorosa accusa formulata dalla vedova di Roberto Calvi, che dichiarò che Giulio Andreotti era il vero capo della P2 mentre il suo vice era l'onorevole Francesco Cosentino (il quale risultava iscritto tra le liste della P2 con la tessera n. 1618): di tale affermazione però non sono mai stati raccolti riscontri attendibili[55][56][57]. È bensì vero che Andreotti aveva sempre smentito di conoscere Gelli, sino alla pubblicazione della citata foto di Buenos Aires. Licio Gelli, per il quale la magistratura spiccò un ordine di cattura il 22 maggio 1981 per violazione dell'art. 257 del codice penale (spionaggio politico o militare), si rifugiò temporaneamente in Uruguay.
Il programma
Fu immediatamente intuito che i documenti sequestrati testimoniavano dell'esistenza di un'organizzazione che mirava a prendere il possesso delle leve del potere in Italia: il "piano di rinascita democratica", un elaborato a mezza via fra un manifesto ed uno studio di fattibilità sequestrato qualche mese dopo alla figlia di Gelli, conteneva una sorta di ruolino di marcia per la penetrazione di esponenti della loggia nei settori chiave dello Stato, indicazioni per l'avvio di opere di selezionato proselitismo e, opportunamente, anche un preventivo dei costi per l'acquisizione delle funzioni vitali del potere: «La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo».
A chiare lettere si indicavano come fini primari (il termine "obiettivi" è usato in quel testo in senso militare, per "bersagli" di blandizie) il riordino dello stato in senso istituzionalistico, il ripristino di un'impostazione selettiva (forse classista) dei percorsi sociali, insomma - secondo molti - una svolta autoritaria.
Ma i dettagli del programma non erano di minor interesse. Se da un lato si propugnava la «abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sfollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola che attuasse i precetti della Costituzione)», giustificata dalla carenza di tecnici in tempi di disoccupazione intellettuale, dall'altro lato occorreva «ripulire il paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive», sempre che la magistratura volesse decidersi a condannarli. Portare il Consiglio superiore della magistratura sotto il controllo dell'esecutivo, separare le carriere dei magistrati, rompere l'unità sindacale e abolire il monopolio della Rai erano altri punti del progetto.
Le persone "da reclutare" nei partiti, dal canto loro, dovevano ottenere addirittura il "predominio" (testuale) sulle proprie organizzazioni (nel piano vengono indicati «per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli»), mentre i giornalisti "reclutati" avrebbero dovuto "simpatizzare" per gli uomini segnalati dalla "loggia". Non si sa se questa parte del piano fosse già stata attuata o meno; una parte dei politici indicati ebbero poi ruoli di primo piano nei loro partiti e nel governo. Si deve però rammentare che questi nomi erano considerati solo "da reclutare", quindi non si sa se furono mai contattati a tale scopo da Gelli.
Il programma non era in realtà che una sorta di memorandum che preannunciava una serie di pressioni e di azioni che avrebbero mirato a conquistare il potere per conferirlo a fidati amici della loggia. Alcuni analisti odierni non mancano di rimarcare che molti degli argomenti trattati in quel programma sarebbero stati poi attuati da governi successivi, o perlomeno indicati come riforme prioritarie ed essenziali da parte di alcuni esponenti politici allora appartenenti ai partiti con cui la P2 aveva cercato contatti (o partiti eredi politici di questi).
Nonostante l'Italia fosse da secoli avvezza alla disinvoltura ed alla spregiudicatezza in politica, tanto da vantarne anche celeberrima letteratura specifica, la sensazione generale fu correttamente definita da molti interpreti del tempo come di "attonito sgomento". Lo scandalo che seguì la scoperta della lista e dei suoi legami con i casi Sindona e Calvi ebbe al tempo un'amplissima copertura mediatica, paragonabile solo a quella che avrà 10 anni dopo Tangentopoli.
Le mani sui mass media
La scoperta del Piano di rinascita democratica ha permesso di comprendere le ragioni dei notevoli cambiamenti avvenuti all'interno dei mass media italiani alla fine degli anni Settanta.
La scalata ai media italiani iniziò dall’obiettivo più ambito: il Corriere della Sera, il quotidiano nazionale più diffuso e allo stesso tempo più autorevole. Per questa operazione Licio Gelli fu coadiuvato dal suo braccio destro Umberto Ortolani, dal banchiere Roberto Calvi, dall’imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello IOR, l'Istituto per le Opere di Religione. Infine era necessario un editore interessato all’acquisto della testata giornalistica più importante d’Italia, e furono individuati i Rizzoli[59].
I Rizzoli, sostenuti finanziariamente da Eugenio Cefis[60], nel 1974 si decisero quindi per l'acquisto, ma si resero conto ben presto che l'operazione si sarebbe rivelata molto più onerosa di quello che si aspettavano. I Rizzoli (Andrea e il figlio Angelone) quindi si misero alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevoli del fatto che molte erano presiedute o dirette da affiliati della P2, e che quindi la decisione di conceder loro nuovi liquidi era condizionata dal parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio del 1977 si appellarono al Maestro Venerabile: questi concesse nuovi fondi, provenienti dallo IOR, così da rendere i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti della loggia ed economicamente deboli. In questo modo non fu difficile far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-IOR[61].
Gelli quindi ottenne il suo primo obiettivo: inserire nei posti chiave della Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella alla direzione del Corriere della Sera al posto di Piero Ottone[62]. Il controllo del quotidiano dava alla P2 un'enorme capacità di manovra:
Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l’acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, Il Giornale di Sicilia di Palermo, l'Alto Adige di Bolzano e La Gazzetta dello Sport. Nel 1978 venne fondato un nuovo quotidiano locale: L'Eco di Padova, e la casa editrice entrò nella proprietà de Il Lavoro di Genova e finanziò L'Adige di Trento. Nello stesso anno Andrea lasciò il gruppo al figlio Angelone e si ritirò a vita privata. Nel 1979 la Rizzoli portò la propria quota azionaria del periodico TV Sorrisi e Canzoni al 52%, ottenendone il controllo. Infine venne fondato L'Occhio, con direttore Maurizio Costanzo[64].
Secondo il piduista Antonio Buono, magistrato già presidente del tribunale di Forlì, e collaboratore de il Giornale, nel corso di un incontro a Cesena Gelli lo avrebbe informato del progetto di creare una catena di testate, nell'ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, nell'ambito di questo progetto, un'agenzia di informazione – alternativa all'ANSA – che avrebbe trasmesso le veline ai vari direttori di questi giornali associati. Nell’occasione, il Venerabile incaricò Buono di coinvolgere il direttore de il Giornale: «Avevo un grande ascendente su Indro Montanelli, e quindi avrei dovuto persuadere Montanelli, per il Giornale, a entrare».[63]
Nonostante il tentativo non riuscisse[65], almeno due personaggi in contatto con gli ambienti massonici diventarono collaboratori del Giornale: lo stesso Buono e Michael Ledeen, legato a CIA, SISMI e alla stessa P2[66].
Una volta scoppiato lo scandalo, le ripercussioni sul gruppo Rizzoli furono enormi: il Corriere della Sera ne uscì pesantemente screditato e perse dal 1981 al 1983 100.000 copie; firme come Enzo Biagi, Alberto Ronchey e Gaetano Scardocchia lasciarono via Solferino. Franco Di Bella lasciò la direzione il 13 giugno e venne sostituito da Alberto Cavallari. L'Occhio e il Corriere d'Informazione vennero chiusi, Il Piccolo, l'Alto Adige e Il Lavoro ceduti. Angelone Rizzoli e il direttore generale della casa editrice, Bruno Tassan Din (entrambi iscritti alla Loggia), ricevettero un mandato d'arresto, il gruppo fu messo in amministrazione controllata (4 febbraio 1983).
La bufera politica
Lo scandalo conseguente al ritrovamento delle liste della P2 fu senza precedenti. Nel giugno 1981, al posto del dimissionario Presidente del consiglio Arnaldo Forlani, fu insediato il repubblicano Giovanni Spadolini, che divenne così il primo Presidente del consiglio non appartenente alla Democrazia Cristiana della storia repubblicana.
Dalle sinistre si era prontamente levata una intensa campagna d'accusa, che di fatto non sgradiva un eventuale riconoscimento del coinvolgimento di esponenti dei partiti di governo e del PSI, antica "concorrente" a sinistra del partito di Enrico Berlinguer. Soprattutto i comunisti avevano da recriminare contro un organismo che clandestinamente lavorava per la loro espulsione dalla società civile, e non risparmiarono ai partiti di governo ed ai loro esponenti accuse di golpismo e di prono asservimento ad interessi di potenze straniere.
Altri politici, tra cui Bettino Craxi del PSI e alcuni deputati della DC, attaccarono invece l'operato della magistratura, accusandola di aver dato per scontato la veridicità di tutta la lista che invece, secondo Craxi, mischiava "notori farabutti" (di cui però non faceva i nomi) a "galantuomini" e di aver causato, con le indagini e l'arresto di Roberto Calvi, una crisi della Borsa, che nel luglio 1981 dovette chiudere per una settimana per eccesso di ribasso.
Mentre, intimoriti dal clima arroventato, alcuni personaggi di altro campo come Maurizio Costanzo negavano ogni coinvolgimento (Costanzo fu poi costretto a lasciare la direzione del telegiornale Contatto del network PIN, facente capo al gruppo Rizzoli), altri come Roberto Gervaso erano rimasti a corto di adeguati aforismi oppure, come il deputato socialista Enrico Manca, che fu anche presidente della RAI, già minimizzavano la loro condivisione delle esperienze piduiste.
Si ebbe quindi una sorta di temporanea epurazione, in realtà agevolata dal ridotto desiderio degli interessati di restare sotto i riflettori, e molti piduisti si eclissarono dalle cariche più in vista, o si fecero da parte per poi ripresentarsi qualche tempo dopo.
La Commissione parlamentare
Negli anni successivi fu istituita, per volontà del Presidente della Camera Nilde Iotti, una commissione parlamentare d'inchiesta, guidata dalla deputata democristiana Tina Anselmi, ex partigiana "bianca" e prima donna a diventare ministro nella storia della Repubblica Italiana. La commissione affrontò un lungo lavoro di analisi per far luce sulla Loggia, considerata un punto di riferimento in Italia per ambienti dei servizi segreti americani intenzionati a tenere sotto controllo la vita politica italiana fino al punto, se necessario, di promuovere riforme costituzionali apposite o di organizzare un colpo di stato. Diede luogo ad una relazione di maggioranza ed una di minoranza. La prima, molto più articolata, mette in luce molti aspetti, quindi ad esempio:
Secondo la commissione d'inchiesta, la Loggia P2 e Gelli stesso goderono di «una sorta di cordone sanitario informativo posto dai Servizi a tutela ed a salvaguardia del Gelli e di quanto lo riguarda» a partire dal 1950 (anno in cui venne segnalato ai servizi il rapporto "Cominform", a cui però non seguirono indagini), che permise al gruppo di agire indisturbato, arrivando alla conclusione che Gelli stesso facesse parte dei servizi segreti:
Secondo la commissione, Licio Gelli mantenne fino al primo dopoguerra un atteggiamento ambiguo, che gli permise di legarsi a chiunque avesse avuto le redini del potere in Italia dopo la guerra (fossero i nazifascisti, fossero gli Alleati e i loro gruppi politici di riferimento o fossero i comunisti filosovietici) e il rapporto "Cominform", che lo denunciava come spia dormiente dei servizi segreti dell'Est (probabilmente posizione frutto di accordi durante questo periodo ambiguo), su cui i servizi non indagarono, sarebbe divenuto una garanzia sulla sua fedeltà che i servizi avrebbero potuto eventualmente usare, denunciandolo come spia filosovietica e distruggendo quindi la sua figura fortemente anti-comunista che era venuta a crearsi nel tempo.
Circa le motivazioni per le quali personaggi tanto affermati avrebbero aderito alla P2, secondo taluni l'abilità di Licio Gelli sarebbe consistita nel sollecitare il diffuso desiderio di mantenere ed accrescere il proprio potere personale; a costoro, l'iscrizione alla loggia sarebbe apparsa di estrema opportunità per raggiungere posizioni di potere di primaria importanza, anche eventualmente partecipando ad azioni coordinate al fine di assicurarsi il controllo sia pure indiretto del governo e di numerose alte istituzioni pubbliche e private italiane.
Secondo altre interpretazioni, la loggia altro non sarebbe stata che un punto di raccordo fra diverse spinte che già prima andavano organizzandosi per influire sugli andamenti politici dello Stato. Non va dimenticato che proprio in quegli anni montava la strategia della tensione e che da molte parti della società si auspicava una svolta politica di impronta decisa, capace di sopperire alla perniciosa inefficienza sociale, economica e pratica dell'impianto statale.
A posteriori, la Commissione parlamentare d'inchiesta ricostruì che verso la fine degli anni settanta il rapporto fra Gelli ed i suoi amici-alleati statunitensi e dei servizi segreti si sarebbe incrinato, e sarebbero cominciate a circolare sollecitazioni a farsi da parte, inoltrate anche nella suggestiva forma di fornire al giornalista Mino Pecorelli (poi assassinato) il famoso rapporto "Cominform" perché lo pubblicasse ed avanzasse così il sospetto che Gelli agisse per qualche servizio segreto di paesi comunisti.
Gelli reagì rilasciando un'imprevista intervista, nella quale qualcuno ha supposto che abbia inviato messaggi in codice; ma sembra accertato che, poco dopo, un uomo di fiducia di Michele Sindona abbia fornito ai giudici di Milano elementi sufficienti per interessarsi del capo della loggia. Il giornalista e politico Massimo Teodori membro della succitata commissione, asserì: «la Loggia P2 non è stata un'organizzazione per delinquere esterna ai partiti ma interna alla classe dirigente. La posta in gioco per la P2 è stata il potere e il suo esercizio illegittimo e occulto con l'uso di ricatti, di rapine su larga scala, di attività eversive e di giganteschi imbrogli finanziari fino al ricorso alla eliminazione fisica»[67].
La P2 fu oggetto d'indagine anche della Commissione Stragi per un presunto coinvolgimento in alcune stragi, ma non portò a niente di rilevante. Gli appartenenti alla P2 e Gelli furono assolti con formula piena dalle accuse di "complotto ai danni dello Stato" con le sentenze della Corte d'Assise di Roma fra il 1994 ed il 1996.[68].
L'Italia dopo la scoperta della P2
Nonostante le successive inchieste giudiziarie abbiano (non senza ricevere critiche da più parti) in parte rinnegato le conclusioni della commissione di inchiesta, tendendo a ridimensionare l'influenza della loggia[71], la scoperta del caso della P2 fece conoscere in Italia l'esistenza, in altri sistemi ed in altri Paesi, del lobbismo, cioè di un'azione di pressione politica sulle cariche detenenti il potere affinché orienti le scelte di conduzione della nazione di appartenenza in direzione favorevole ai lobbisti.
In altri Paesi il lobbismo si applicava e si applica in modo pressoché palese, e nemmeno - d'ordinario - desta scandalo; per l'Italia il fenomeno, almeno in questa forma subdola, illegale e sovversiva e con questa evidenza, era inusitato. In più, la circostanza che l'associazione fosse segreta ha immediatamente evocato allarmanti spettri, che le conclusioni dell'inchiesta della commissione parlamentare non hanno fugato. Il caso P2 ha certamente sensibilizzato la società italiana sui meccanismi attraverso i quali le scelte ed il potere politico possono venir influenzati dagli interessi di gruppi di potere non eletti, e quindi non pienamente legittimati a prender parte al dialogo politico.
Altrettanta attenzione è stata posta, nel tempo, al destino dei piduisti, qualcuno dei quali ha avuto pubblico successo, in politica o nello spettacolo, mentre altri sono tornati nell'anonimato; ad alcuni è stato revocato lo stigma sociale (Silvio Berlusconi è sceso in politica con successo, conseguendo quattro volte la Presidenza del Consiglio nel corso di quindici anni; Fabrizio Cicchitto rientrò in politica; Maurizio Costanzo pronunciò un autodafé e mantenne la sua carriera giornalistica).
Tra i personaggi politici menzionati nel famoso "programma di rinascita" elaborato per la P2 da Francesco Cosentino, Bettino Craxi confermò la previsione per cui avrebbe assunto il "predominio" nel suo partito e nel governo del Paese (anche grazie all'appoggio degli USA, che finanziarono il suo partito in chiave anti-PCI, come scriverà poco prima di morire nel suo memoriale consegnato al cognato Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano). Ad Antonio Bisaglia, invece, la morte improvvisa non consentì di soddisfare le previsioni su di lui espresse nel medesimo testo.
Dal 2007 Licio Gelli fu posto in detenzione domiciliare nella sua Villa Wanda di Arezzo, per scontare la pena di 12 anni per la bancarotta del Banco Ambrosiano. In un'intervista rilasciata a la Repubblica il 28 settembre 2003, durante il Governo Berlusconi II, ha raccontato: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa in 53 punti».[72]
Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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Ultimo aggiornamento Lunedì 24 Giugno 2013 11:28 |