Rinascimento napoletano |
Venerdì 14 Dicembre 2012 15:11 |
Il Rinascimento napoletano indica la declinazione dell'arte rinascimentale sviluppatasi a Napoli tra il XV e il XVI secolo. In architettura fu caratterizzato da modi esuberanti e solenni, con un ampio ricorso alle decorazioni in piperno e marmo bianco per le facciate degli edifici sacri e dei palazzi.
Con l'avvento del barocco nel XVII secolo l'esperienza rinascimentale venne accantonata.
Il Quattrocento
Colantonio, San Gerolamo, Museo di Capodimonte, Napoli
La prima metà
La prima metà del XV secolo, a Napoli e nel resto del Regno l'arte rinascimentale, nell'accezione legata alle influenze toscane, si ritrova in alcuni esempi illustrissimi come il monumento funebre del cardinale Rainaldo Brancacci (1426-1428) in Sant'Angelo a Nilo, opera di Donatello e Michelozzo, oppure nella cappella Caracciolo del Sole, in san Giovanni a Carbonara, nella quale hanno lavorato Andrea Ciccione, Leonardo da Besozzo e tra i locali il Perinetto.
Dominarono la scena artistica essenzialmente le influenze franco-fiamminghe, legate a rotte politiche e, in parte, commerciali. I numerosi artisti stranieri fecero della città un punto di scambio e di contaminazione artistica, nell'ambito della cosiddetta "Congiuntura Nord-Sud", cioè quella commistione di modi mediterranei e fiamminghi che interessò un'ampia parte del bacino del Mediterraneo occidentale, comprese le regioni non costiere di transito, e che ebbe proprio in Napoli il suo epicentro.
Questa felice situazione si manifestò già dal regno di Renato d'Angiò (1438-1442), che portò in città il suo gusto dagli ampi orizzonti culturali, culminato nell'attività di Barthélemy d'Eyck.
Il mutamento politico, con l'insediarsi di Alfonso V d'Aragona (dal 1444), amplificò la rete di scambi culturali nel Mediterraneo, coinvolgendo i territori partenopei nel giro degli scambi strettissimi con gli altri territori della corona aragonese e chiamando in città artisti catalani e spagnoli, tra cui spiccò la presenza del caposcuola valenciano Jaume Baço, in città a più riprese dal 1442 al 1446. In quegli stessi anni furono in città il maestro francese Jean Fouquet e il veronese Pisanello. Il principale artista locale della prima metà del secolo fu Colantonio, nelle cui opere si manifesta la capacità di assorbire e assimilare i diversi linguaggi presenti in città: se un'opera come il San Girolamo nello studio (1444 circa) mostra riferimenti alla pittura fiamminga nella realistica "natura morta" di libri e altri oggetti che riempiono gli scaffali, nella Consegna della regola francescana, di poco posteriore (1445 circa), si registrano già le diverse influenze catalani, come dimostrano il pavimento inerpicato in verticale, le fisionomie espressive e le pieghe rigide e geometriche delle vesti.
Purtroppo, come per l'arte gotica trecentesca, i resti di opere di questo periodo sono piuttosto scarsi, distrutti nei tumultuosi eventi della storia locale.
La seconda metà
Castel Nuovo, volta della Sala dei Baroni
Cappella Piccolomini
La facciata del Gesù Nuovo, ex-palazzo Sanseverino
Tra gli interessi di re Alfonso c'era anche l'umanesimo, come dimostra la presenza a corte di famosi intellettuali come Panormita, Francesco Filelfo, Bartolomeo Facio e Lorenzo Valla, nonché l'importante biblioteca da lui costituita. Il nuovo sapere restò però essenzialmente confinato alla corte, mancando ad esempio un'attenzione del sovrano all'Università, che avrebbe potuto diffondere la nuova cultura nel regno. La stessa letteratura ebbe un carattere prevalentemente encomiastico.
Architettura
Le prime commissioni architettoniche vennero affidate ad artisti spagnoli, ancora lontani dalle problematiche rinnovate del Rinascimento, ma legati a svariati indirizzi. L'eterogeneità della committenza reale è evidente nella ricostruzione di Castel Nuovo, dove dal 1451 lavorarono maestranze iberiche guidate da Guillén Sagrera, incaricate di creare una residenza adeguata al sovrano e un fortilizio in grado di resistere alle artiglierie. Lo schema generale si rifà alla tradizione gotica, depurata però dall'eccessiva decorazione esaltando la chiarezza strutturale. La Sala dei Baroni ad esempio è priva di spazi per la scultura, con le nervature della volte che affondano direttamente nello spessore delle pareti, senza mensole o peducci. La stessa chiave di volta è un oculo, che si trova anche nelle sue costruzioni maiorchine.
Nel 1453, quando il potere reale poteva definirsi ormai solido, Alfonso decise di dotare il castello di un ingresso monumentale, ispirato agli archi di trionfo romani. L'Arco trionfale del Castel Nuovo, progettato forse da una collaborazione tra Francesco di Giorgio Martini, Luciano Laurana e Guillem Sagrera, è composto da due archi sovrapposti, retti da colonne binari e coronati da un timpano curvilineo. Sul primo attico si trova un fregio con l'ingresso trionfale di Alfonso V a Napoli, ispirato ai cortei trionfali romani, mentre sul secondo si trovano quattro nicchie con statue. Questa struttura testimonia un uso liberissimo del modello classico, subordinato alle esigenze celebrative.
Sul finire del secolo, grazie all'alleanza politica con Lorenzo il Magnifico, si ebbe un ingresso diretto di opere e maestranze fiorentine, che comportarono una più omogenea adozione dello stile rinascimentale. Importante cantiere dell'epoca fu la chiesa di Sant'Anna dei Lombardi, dove lavorarono Antonio Rossellino e Benedetto da Maiano, realizzandovi tre cappelle (Piccolomini, Toledo e Mastroianni-Terranova). Soprattutto la Cappella Piccolomini, dove venne sepolta Maria d'Aragona, era interessante per la riproposizione delle forme della fiorentina cappella del cardinale del Portogallo, aggiornate però a un gusto più sfarzoso, per assecondare le esigenze della committenza.
Giuliano da Maiano, fratello di Benedetto, lavorò alla difesa muraria della città con le annesse porte, come Porta Capuana e Porta Nolana e a lui è attribuito il disegno di Palazzo Como, ma soprattutto spiccò la progettazione della residenza reale della Villa di Poggioreale, avviata tra il 1487 e il 1490 e terminata da Francesco di Giorgio, che si può ritenere il punto di arrivo della progressiva conversione rinascimentale della capitale aragonese. Nonostante sia poi stata distrutta, si può ancora farsene un'idea grazie alla riproduzione nel trattato di Sebastiano Serlio e grazie alla sua fortuna critica che la rese esemplare anche per l'architettura del XVI secolo. L'edificio era caratterizzato da un impianto originale con richiami all'antico adattati alle esigenze contemporanee. La tipologia di base era infatti la villa antica contaminata con le esigenze difensive di un castello medievale e con ambienti appositamente studiati per la residenza, lo svago e la rappresentanza, legati alle necessità delle corti di fine secolo. Ne nacque un edificio di dimensioni contenute a base quadrangolare, con quattro corpi sporgenti agli angoli, simili a torri angolari, ma di altezza uguale al resto del fabbricato. Il corpo centrale era porticato sia sul lato esterno che su quello interno, dove si trovava un cortile infossato per cinque gradini, che richiamava modelli antichi quali il teatro e le vasche termali. Il cortile, secondo un modello di Vitruvio, poteva essere coperto con un solaio ligneo per essere sfruttato per feste e rappresentazioni.
Nel frattempo Giuliano avviò anche una scuola dove si formarono architetti che propugnarono lo stile rinascimentale in tutto il regno, tra cui Pietro e Ippolito del Donzello.
Nel cantiere di Poggioreale lavorò, intorno al 1490, anche fra' Giovanni Giocondo a cui viene attribuita, tra incertezze, la cappella dei Pontano in via dei Tribunali, con l'esterno scandito da paraste corinzie, costruita per l'umanista napoletano Giovanni Pontano. Nel 1495 Carlo VIII di Francia invase il regno e occupò Napoli temporaneamente. Alla sua partenza portò con sé, direttamente dal cantiere della villa di Poggioreale, fra' Giocondo ed il giardiniere Pacello da Mercogliano, che alla corte di Francia portarono la nuova concezione del giardino che andava maturando in Italia, oltre ad altri artigiani ed artisti che lavoravano a Napoli, tra cui lo scultore Guido Mazzoni, che contribuirono alla diffusione della cultura classicista italiana e allo sviluppo del Rinascimento francese.
Il resto del regno aragonese manifestò invece una propensione molto tradizionalista e arretrata sulle arti, per via anche della struttura sociale (legata ancora al Feudalesimo) e per la mancanza di dialettica con la corte della capitale. Il cortile del Castello di Fondi ad esempio, ristrutturato nel 1436, risente ancora di moduli goti e spagnoleggianti, che lo fanno assomigliare a un patio. In Sicilia, dopo la fioritura sotto gli Angioini, bisognò aspettare la fine del XV secolo per trovare un'interpretazione locale del Rinascimento, legata soprattutto all'architettura a Palermo per opera di Matteo Carnelivari (chiesa di Santa Maria della Catena).
Urbanistica
Francesco Laurana, Busto di principessa, Louvre
Alfonso II di Napoli aveva programmato per la città un vasto piano urbanistico, che avrebbe unificato gli interventi di per sé isolati del suo predecessore, regolarizzando il tracciato romano e sgombrando le superfetazioni medievali. Ne sarebbe uscita una planimetria stradale a scacchiera, che avrebbe fatto di Napoli, nelle intenzioni dei promotori dell'iniziativa la "più necta e polita città [...] di tutta Europa". Il piano non venne attuato per la brevità del regno del sovrano (1494-1495) e i suoi successori, pressati dall'instabilità per le ricorrenti rivolte baronali, preferirono dedicarsi alle opere militari, ampliando la cerchia muraria, su iniziativa di Alfonso quando era ancora Duca di Calabria, e costruendo castelli nel territorio. L'aspetto di Napoli alla fine del secolo è testimoniato dalla Tavola Strozzi (1472 circa, Museo nazionale di San Martino), dove si vede la città dal mare completamente cinta da mura turrite che collegano i due fortilizi di Castel Nuovo a est e Castelcarmine a ovest. Le porte della città erano strettamente funzionali alla difesa, con l'eccezione di Porta Capuana, ispirata a un arco di trionfo, che conduceva a Poggioreale.
Scultura
Anche in scultura l'arco di Castel Nuovo fu un episodio fondamentale. Vi lavorò un gruppo eterogeneo di scultori, che fu all'origine della disorganicità dell'insieme. A un primo team di artisti legati ai modi catalano-borgognoni ne successe uno più composito, in cui spiccavano le personalità di Domenico Gagini e Francesco Laurana, che dopo il termine dei lavori restarono a lungo nel regno. Gaggini fu il capostipite di un'autentica dinastia, attiva soprattutto in Sicilia, dove fuse spunti locali con la ricchezza decorativa di matrice lombarda; Laurana invece si specializzò in forme più sintetiche, soprattutto nei ritratti di suggestiva e levigata bellezza che furono la sua specialità più apprezzata. Ad esempio nel Ritratto di Eleonora d'Aragona (1468, Palermo, Palazzo Abatellis), il volto ha una forma stereometrica, che trasfigura i dati fisiognomici.
Pittura
San Girolamo nello studio
Anche in pittura l'avvicinamento ai modi rinascimentali è graduale e si percepisce appieno nel più grande maestro dell'Italia meridionale del XV secolo, Antonello da Messina, che si formò anche a Napoli, presso Colantonio. Le sue prime opere, come il Salvator mundi, mostrano un'adesione ai modi fiandro-borgognoni, soprattutto riguardo all'iconografia, alla tecnica esecutiva e ai tipi fisici dei personaggi, mentre sono tipicamente italiani l'impostazione monumentale delle figure e le valenze spaziali. Gradualmente Antonello di avvicinò alle ricerche spaziali e luminose di Piero della Francesca, nonché alle ricerche dei pittori fiamminghi, quali Jan van Eyck e il contemporaneo Petrus Christus. Dai fiamminghi importò in Italia la tipologia dei ritratti di tre quarti, anziché di profilo, accentuando al tempo stesso le componenti psicologiche e umane degli effigiati. Il migliore esempio di questa straordinaria sintesi tra scuole pittoriche diverse fu forse il San Girolamo nello studio, dipinto in Sicilia, dove alla ricchezza fiamminga di dettagli e al moltiplicarsi delle fonti di luce aggiunse, oltre all'interpretazione umanistica del tema col santo rappresentato come uno studioso, una complessa costruzione spaziale, con una finta cornice che fa da tramite lo spettatore e il santo. La luce che entra dalla finestra in primo piano segue le linee prospettiche, permettendo la misurazione dello spazio e facendo convergere l'attenzione verso il nucleo del dipinto.
Tra le ultime opere prodotte nei confini del regno aragonese c'è anche l'Annunciata di Palermo, dove si riscontra una straordinaria sintesi tra geometria e naturalismo, con un uso dolcissimo della luce.
In seguito Antonello, grazie ai suoi viaggi, diffuse le sue conquiste nella penisola, soprattutto a Venezia, dove il confronto con Giovanni Bellini fu all'origine di un rinnovamento nella pitura di soggetti sacri. Se a Venezia l'esempio di sintesi formale e di "legante" luminoso fu compreso e sviluppato, a Napoli e in Sicilia non ci fu un vero e proprio seguito dell'artista. Qui infatti il figlio Jacobello e gli artisti locali si limitarono a copiarne gli schemi iconografici, senza le affrontare problematiche più complesse.
Il Cinquecento
Palazzo Gravina, Napoli
Il primo quarto
Il primo quarto del Cinquecento vide architetti con varie formazioni culturali impegnati a rinnovare il volto della capitale. Novello da San Lucano, che fu discepolo di Angelo Aniello Fiore, si recò a Roma per poter studiare meglio le architetture antiche per poter meglio proporzionare le sue opere, creando al suo ritorno la facciata dell'allora Palazzo Sanseverino (poi chiesa del Gesù Nuovo), dove usò per la prima volta il bugnato a punta di diamante in piperno.
Gabriele d'Agnolo concepì con Palazzo Gravina la realizzazione di un palazzo nobiliare secondo i dettami del classicismo romano; suoi sono anche Palazzo Carafa di Nocera e la riedificazione in modi rinascimentali della chiesa di Santa Maria Egiziaca all'Olmo.
Giovanni Francesco Mormando progettò e ricostruì vari edifici cittadini, ispirandosi all'architettura classica e a Leon Battista Alberti. Il suo allievo Giovanni Francesco di Palma contribuì all'ultimazione delle opere rimaste incompiute del maestro.
Mentre crescevano le realizzazioni rinascimentali in città, continuavano ad arrivare architetti di formazione estranea a quella locale come nel caso nella cappella Caracciolo di Vico in San Giovanni a Carbonara, di un architetto della scuola di Bramante. La Cappella del Succorpo nel Duomo potrebbe essere stata disegnata, secondo alcune fonti, dallo stesso Bramante o dal lombardo Tommaso Malvito.
Nel secondo decennio del secolo arrivò in città anche il Settignanese Romolo Balsimelli, che fu incaricato della realizzazione della chiesa di Santa Caterina a Formiello, dove venne usata una pianta innovativa, con pianta una croce inscritta in un quadrilatero, per mantenere dimensioni contenute. Dalla vicina Nola arrivò Giovanni da Nola, già studioso a Roma della scultura e dell'architettura classica. Egli, come architetto, progettò due palazzi in stile romano ma con forti influssi meridionali.
Il secondo quarto
Nel secondo quarto Ferdinando Manlio si mise in mostra con la realizzazione della basilica della Santissima Annunziata Maggiore e, con Giovanni Benincasa, realizzò la trasformazione da castello a tribunale di Castel Capuano. Dei due architetti è anche il piano urbanistico di Via Toledo e dei Quartieri Spagnoli), su commissione del viceré Pedro de Toledo, che permise l'espansione della città verso la collina del Vomero. Intanto, dopo la Controriforma si realizzano edifici sacri ad aula unica e senza transetti sporgenti, prendendo come modello la chiesa di Santa Caterina.
L'ultimo cinquantennio
Santa Maria la Nova
Dopo il 1550 l'architettura puramente rinascimentale cadde in secondo piano con l'avvento del manierismo. Proseguirono comunque i cantieri degli edifici del centro antico iniziati nel cinquantennio precedente, come la chiesa del Gesù delle Monache, dalla facciata che ricorda un arco trionfale. In questo periodo nell'edilizia civile si sviluppò l'uso di decorazioni marmoree bianche in contrasto col piperno.
Verso la fine del secolo l'architettura si arricchì di influssi classici portati dagli architetti Domenico Fontana, Giovanni Antonio Dosio e Gian Battista Cavagni; il primo autore del Palazzo Carafa della Spina, complesso di Gesù e Maria e Palazzo Reale e il secondo del rimaneggiamento della Certosa di San Martino e della chiesa dei Girolamini e il terzo della chiesa di San Gregorio Armeno e del Monte di Pietà di Napoli. L'ultima opera rinascimentale può dirsi il rimaneggiamento su progetto di Giovanni Cola di Franco della chiesa di Santa Maria la Nova. |
Ultimo aggiornamento Venerdì 14 Dicembre 2012 15:14 |