Referendum abrogativi del 2009 in Italia |
Mercoledì 19 Dicembre 2012 11:46 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
I referendum abrogativi del 2009 (anche detti referendum sulla legge elettorale), distinti in tre quesiti sulla legge 21 dicembre 2005, n. 270, "Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica", si sono tenuti in Italia il 21 e il 22 giugno 2009, in corrispondenza ai ballottaggi per le elezioni amministrative locali.
Il primo quesito vuole abrogare tutte le norme che prevedono la possibilità per le liste concorrenti alle elezioni della Camera dei deputati di collegarsi tra loro e di essere, di conseguenza, attributarie del premio di maggioranza. Il secondo quesito vuole abrogare tutte le norme che prevedono la possibilità per le liste concorrenti alle elezioni del Senato della Repubblica di collegarsi tra loro e di essere, di conseguenza, attributarie del premio di maggioranza. Il terzo quesito ha come scopo quello di ottenere l'abrogazione della possibilità per uno stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione alle elezioni della Camera dei deputati.
Gli elettori chiamati al voto erano 47,5 milioni, più 3 milioni di elettori all'estero. Il quorum da raggiungere per la validità della consultazione era del 50% degli aventi diritto più uno (circa 25 milioni).
Vista la bassa affluenza alle urne per tutti e tre i quesiti (attestatisi al 23,31% i primi due, e al 23,84% il terzo), i referendum sono stati dichiarati non validi.
L'iniziativa referendaria
Nel 2007 un gruppo di promotori, tra cui spiccano i nomi di Mario Segni e Giovanni Guzzetta raccolsero le firme necessarie per proporre un referendum, che cancellasse alcune parti della legge elettorale per modificarne il significato (in modo simile a quanto operato nel 1993 prima del Mattarellum).
Il Comitato referendario era composto da intellettuali (Michele Ainis, poi distaccatosene, Augusto Barbera, Gianfranco Pasquino, Angelo Panebianco) e da politici di entrambi gli schieramenti (Gianni Alemanno, Angelino Alfano, Mercedes Bresso, Riccardo Illy, Renato Brunetta, Antonio Martino, Giovanna Melandri, Arturo Parisi, Daniele Capezzone, Stefania Prestigiacomo, Gaetano Quagliariello, Giorgio Tonini, Salvatore Vassallo).
La raccolta delle firme ha avuto inizio il 24 aprile 2007 ed è terminata il 24 luglio dello stesso anno. A seguito dell'autenticazione delle firme da parte della Corte di Cassazione e dell'approvazione dei quesiti da parte della Corte Costituzionale, il referendum è stato inizialmente indetto per il 18 e il 19 maggio 2008; tuttavia, a seguito dello scioglimento delle camere del 6 febbraio 2008, la consultazione è stata rinviata di un anno.
La calendarizzazione
Da calendarizzare, secondo legge, tra il 15 aprile e il 15 giugno, i referendum abrogativi sulla legge Calderoli sono stati infine fissati per il 21-22 giugno, in corrispondenza dei turni di ballottaggio delle amministrative.
In un primo momento, era stato proposto l'accorpamento al turno delle elezioni europee ed amministrative del 6-7 giugno. Ciò al fine di risparmiare una consistente somma di denaro necessaria per l'approntamento della consultazione, valutata in almeno 373 milioni di euro (173 milioni di euro, dati Ministero dell'Interno, probabilmente sottostimati, più 200 milioni di euro di costi indiretti)[3] in un momento di crisi economica e in seguito alle risorse resesi necessarie per il terremoto in Abruzzo. Tale proposta trovò tuttavia la ferma opposizione della Lega Nord, contraria ai quesiti referendari, ed intenzionata a rimandare la data della consultazione per sfruttare l'effetto astensione sul quorum. Altri invece hanno difeso la scelta di non accorpare il referendum alle altre votazioni, adducendo come motivazione la possibilità di confusione da parte dell'elettore. In alcune grandi città, infatti, l'elettore avrebbe dovuto maneggiare sette schede contemporaneamente.
Per ottenere l'accorpamento con i ballottaggi, è stata quindi necessaria l'approvazione di una legge che consentisse di andare oltre il termine fissato dalla legge per lo svolgimento del referendum, cioè il 15 giugno
I quesiti
Primo quesito
Il primo quesito (scheda di colore viola) vuole abrogare tutte le norme che prevedono la possibilità per le liste concorrenti alle elezioni della Camera dei deputati di collegarsi tra loro e di essere, di conseguenza, attributarie del premio di maggioranza.
Se vince il no o se il referendum non raggiunge il quorum, non ci sono modifiche rispetto alla situazione attuale.
Se vince il sì, le liste concorrenti alle elezioni della Camera dei deputati non potranno collegarsi tra loro e, di conseguenza, il premio di maggioranza verrà assegnato alla singola lista che ha ottenuto più voti.
Un secondo effetto è quello di abrogare le soglie di sbarramento per i partiti coalizzati, quindi ogni lista deve superare la soglia di sbarramento prevista per i partiti non coalizzati.
Secondo quesito
Il secondo quesito (scheda di colore beige scuro) vuole abrogare tutte le norme che prevedono la possibilità per le liste concorrenti alle elezioni del Senato della Repubblica di collegarsi tra loro e di essere, di conseguenza, attributarie del premio di maggioranza.
Se vince il no o se il referendum non raggiunge il quorum, non ci sono modifiche rispetto alla situazione attuale.
Se vince il sì, le liste concorrenti alle elezioni del Senato della Repubblica non potranno collegarsi tra loro e, di conseguenza, il premio di maggioranza regionale verrà assegnato alla singola lista che ha ottenuto più voti in ambito circoscrizionale.
Un secondo effetto è quello di abrogare le soglie di sbarramento per i partiti coalizzati, quindi ogni lista deve superare la soglia di sbarramento prevista per i partiti non coalizzati.
Terzo quesito
Il terzo quesito (scheda di colore verde chiaro) riguarda l'abrogazione delle candidature multiple alle elezioni della Camera dei deputati.
Se vince il no o se il referendum non raggiunge il quorum, non ci sono modifiche rispetto alla situazione attuale.
Se vince il sì, i candidati deputati potranno presentarsi in una sola circoscrizione elettorale.
Il terzo quesito è stato generalmente apprezzato e non ha attirato particolari critiche, se non da parte di chi fa notare che, comunque, resta il meccanismo delle liste bloccate e non si fa ritorno alla possibilità di esprimere preferenze nominative. Ad esempio, per Marco Pannella: "Resta un parlamento di nominati. [...] Il rapporto parlamentari/elettori è zero".[4]
Posizione delle principali forze politiche
Poiché l'eventuale successo dei primi due quesiti del referendum comporterebbe il "premio di maggioranza" per il partito (e non più per la coalizione) in grado di raccogliere la semplice maggioranza relativa dei voti, i partiti minori si sono dichiarati contrari, dando indicazione di non recarsi alle urne o di non ritirare le schede, per evitare che, grazie all'astensionismo, la consultazione raggiunga il quorum. Secondo Sandro Brusco, la forte opposizione soprattutto della Lega Nord e dell'Italia dei Valori si spiega con il timore di una perdita di riconoscibilità, nel caso in cui i partiti minori vengano costretti a formare un listone unico con il partito maggiore del proprio campo.
Il Partito Democratico ed il PdL invece hanno assunto una posizione favorevole. Il Popolo delle Libertà, tuttavia, ha deciso di non far campagna elettorale per non alienarsi le simpatie della Lega Nord: il patto tra Berlusconi e Bossi ha fatto seguito alla "cena di Arcore" dell'8 giugno 2009. In cambio del silenzio del PDL sul referendum, la Lega ha accettato di votare i candidati comuni ai ballottaggi.
Il problema del quorum e gli effetti sull'istituto del referendum
Come è già avvenuto in occasione delle più recenti consultazioni referendarie, anche in questa occasione ha tenuto banco, in particolare, il tema del quorum, cioè della necessità, perché il referendum abbia effetto, che si presenti alle urne almeno il 50% dei votanti sul totale degli aventi diritto al voto. Questa condizione non si è realizzata in tutti i referendum tenuti in Italia a partire dal 1997, il cui svolgimento è stato perciò vano.
L'arma dell'astensione è stata utilizzata ampiamente nella campagna anti-referendaria: contando su un astensionismo "fisiologico" di almeno il 20% del corpo elettorale, gli oppositori ai questiti referendari - in questa come in tutte le più recenti occasioni - hanno privilegiato in larga misura l'invito a disertare le urne piuttosto che all'espressione del NO sulle schede elettorali. Ed anche in questa occasione non sono mancate le polemiche a favore e contro questa "tecnica" peculiare.
C'è chi ha preso spunto da questo dibattito per avanzare la proposta di eliminare la necessità del quorum: Peppino Calderisi, capogruppo in Commissione Affari Costituzionali della Camera del PDL e componente del Comitato promotore del referendum elettorale, ha ad esempio sottolineato la necessità di rivedere l'istituto referendario, "magari aumentare il numero delle firme ma poi abolendo il quorum. È un problema politico: in nessuna democrazia politica -spiega Calderisi- chi non vota conta più di chi vota. Alla luce anche dell'esito di questo referendum dovremo fare un pensiero su questo problema".[22]
Del resto, già dopo il referendum del 18 aprile 1999, Gianfranco Fini, Mario Segni e Marco Taradash avevano posto questo tema. «Con il referendum del 18 aprile – osservò Fini – 22 milioni di italiani sono andati a votare e di questi oltre il 90 % ha votato sì , ma tutto ciò per colpa del quorum non ha contato». Il Movimento Democratici Diretti ha ripreso questo obiettivo, illustrando dieci ragioni che giustificherebbero l'abolizione del quorum referendario
Secondo Sergio Romano, il mancato raggiungimento del quorum "sarà una campana a morte per l'istituto del referendum abrogativo e priverà l'Italia del suo principale strumento di democrazia diretta".
Secondo Michele Ainis, "se non si raggiunge il quorum, subentra sfiducia nello strumento referendario e sarà difficile riproporlo per temi etici e civili, ad esempio per il testamento biologico."
In effetti, la posizione delle forze politiche in questo referendum, divise tra sì ed astensione, così come nel caso dei referendum abrogativi del 2005, sembra indicare un trend preciso. Tale evoluzione prefigura dei rischi anche nei riguardi di principi quali la segretezza del voto.
Il dibattito politico sul referendum
L'obiettivo del Comitato promotore è la riduzione della frammentazione del sistema partitico italiano.
Una maggior polarizzazione delle forze in campo si è parzialmente realizzata, nel frattempo, indipendentemente dalla consultazione referendaria, anche a seguito della nascita per fusione dei due partiti principali, il Partito Democratico e il Popolo delle Libertà.
Tuttavia, di fatto, non è diminuito il numero delle liste che si presentano alle competizioni elettorali, e ciò proprio in virtù del "potere di coalizione" che ancora residua a favore delle forze politiche minori.
I partiti sono rimasti piuttosto freddi (quando non ostili) all'iniziativa. Inoltre i cambiamenti dello scenario politico hanno portato, in entrambi gli schieramenti, a qualche cambiamento di posizione.
Numerosi politologi si sono interessati al dibattito sul referendum, attraverso interventi sulla stampa. Tra questi, Giovanni Sartori, Stefano Passigli, Angelo Panebianco, Sergio Romano.
La critica all'effetto distorsivo sulla rappresentanza
La critica che più comunemente viene portata, da destra e da sinistra, alla sostanza dei primi due quesiti referendari si concentra sull'effetto distorsivo che il loro accoglimento determinerebbe rispetto alla rappresentanza. Una vittoria del sì porterebbe a trasformare in maggioranza assoluta "la più grande minoranza", senza rispetto del principio di proporzionalità. In questo modo, il maggiore partito, quand'anche ottenesse solo il 25-30% dei voti, o anche meno, si garantirebbe il 55% dei seggi. In caso tale partito entrasse poi in coalizione con un secondo partito che si aggiudicasse attorno al 10% dei seggi, tale coalizione potrebbe agevolmente conseguire la maggioranza dei 2/3 dei parlamentari eletti (pur con un consenso elettorale non superiore al 35%) ed il consguente potere, ad esempio, di nominare il Presidente della Repubblica e le maggiori magistrature di garanzia, oltre che di far passare i propri disegni di riforma costituzionale senza dover ricorrere al referendum confermativo.
La trasformazione di una minoranza in una maggioranza, attraverso un premio elettorale, porta Giovanni Sartori a considerarlo "truffaldino e distorcente".
Sartori rileva come il premio di maggioranza faccia aumentare il costo in voti di un seggio: "Se, per esempio, Berlusconi conquistasse il premio con il 35% dei voti a lui spetterebbe il 55% dei seggi, mentre il 65% dei non premiati si dovrebbe dividere il 45% dei seggi restanti".
D'altra parte, secondo Sandro Brusco, il risultato dei refendum sarà sostanzialmente "ininfluente". Brusco rimarca che anche con la legge Calderoli un partito minoritario può ottenere un premio di maggioranza: se il PdL fosse abbastanza forte da poter vincere senza la Lega Nord, anche con la legge Calderoli potrebbe presentarsi da soli e guadagnare il premio di maggioranza.
Per tali motivi sono state trovate delle analogie con la legge truffa del 1953. e con la Legge Acerbo del 1923
Forzatura al bipartitismo e rischio correnti: repliche
Una seconda critica alla legge elettorale come modificata dal referendum riguarda il premio di maggioranza alla lista come incentivo al bipartitismo. Esso infatti spingerebbe i partiti maggiori ad assorbire i partiti più piccoli per poter ottenere il premio di maggioranza. Tali piccoli partiti non verrebbero così eliminati, ma riapparirebbero come correnti. Si avrebbe così una "repubblica delle correnti" anziché un bipartitismo moderato.
Anche secondo Sandro Brusco, l'unico effetto del referendum sarà di avere "al tempo stesso, meno liste elettorali, e liste elettorali più omogenee. Ma, alla fine, i cambiamenti saranno minimi". Brusco prevede che la nuova normativa porterebbe i partiti ad accordarsi ex ante su una lista unica con un simbolo comune, magari affiancando i simboli attuali (cosiddetta lista bicicletta). Ciò poiché i partiti basano la propria strategia sulla legge elettorale in vigore, e poiché non esiste una distinzione netta tra "coalizione di liste elettorali" e "lista elettorale" singola.
Secondo Angelo Panebianco, l'effetto aggregativo visto alle elezioni 2008 è stato dovuto semplicemente alla scelta di Walter Veltroni di puntare sul "partito a vocazione maggioritaria", e alla mossa analoga del PDL. Tuttavia tale effetto può presto scomparire, con il ritorno alla disgregazione e alla politica delle alleanze.
Sartori fa invece affidamento sullo sbarramento del 4% come "anticorpo" della legge Calderoli contro il ritorno della frammentazione, e fa notare come il referendum non ponga ulteriori vincoli in questo senso.
I sostenitori del referendum obiettano che il sistema elettorale risultante dal referendum spingerà gli attuali soggetti politici a perseguire, "sin dalla fase pre-elettorale, la costruzione di un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche e incentivando la riaggregazione nel sistema partitico", aprendo così "una prospettiva tendenzialmente bipartitica": "la frammentazione si ridurrà drasticamente" e, non essendoci più le coalizioni, "scomparirà l’attuale schizofrenia tra identità collettiva della coalizione e identità dei singoli partiti nella coalizione".
Tuttavia, i critici del referendum ribadiscono che il bipartitismo non è un approdo necessario: secondo Stefano Passigli "si può avere competizione bipolare ed alternanza di governo anche in situazioni di multipartitismo moderato, come in Germania e in molte altre democrazie europee. Altra cosa è invece la riduzione traumatica del pluralismo politico e la sua costrizione ad un formato bipartitico grazie al ricorso ad un abnorme premio di maggioranza".
Un'obiezione simile è portata da Giovanni Sartori, quando scrive che il divieto di coalizione previsto dal referendum è "inutile", in quanto "quel divieto sarebbe stato aggirato dall'invenzione, per le elezioni, di due 'listoni' acchiappatutti al coperto dei quali restavano e sarebbero riemersi i partiti di prima".
Angelo Panebianco risponde a tale critica facendo notare come tali partitini aggregati perderebbero comunque libertà d'azione, simboli e finanziamenti pubblici.
Inoltre, Sartori attacca il possibile esito bipartitico del referendum: "Da entrambi i Porcelli non risulterà nessun sistema bipartitico, ma invece un sistema a partito predominante nel quale lo stesso partito governa da solo e senza alternanza per decenni (in altri casi anche dai trenta ai cinquant’anni)".
Possibili future modifiche della legge Calderoli
Trattandosi di referendum abrogativi e non propositivi, stante anche il particolare "tecnicismo" imposto dalle attuali norme che regolano l'istituto referendario, c'è dibattito anche riguardo agli effetti che concretamente potranno prodursi a seguito di qualsiasi esito dei referendum sulla legge Calderoli attualmente in vigore.
Secondo Sergio Romano, un esito negativo del referendum avrebbe "l'effetto di rafforzare la legge Calderoli e di renderla di fatto per molto tempo immodificabile", mentre il sì avrebbe il vantaggio di costringere il parlamento ad approvare una nuove legge elettorale.[24]. Dello stesso parere è Stefano Passigli, che considera come il no "può apparire una conferma popolare del porcellum e ritardare il varo di una nuova legge".
Secondo Giovanni Sartori, in caso di vittoria dei no, la legge Calderoli otterrebbe un rinforzo di legittimità ("si potrà dire che il popolo italiano vuole il Porcellum così come è"), così come lo otterrebbe ugualmente in caso di vittoria dei sì ("si dirà che la sovranità popolare vuole una maggioranza ope legis"). "Per Berlusconi il Porcellum 2 va strabene, è già operativo, e lui controllerà la maggioranza assoluta. Nessuno lo potrà costringere a nulla", tantomeno a modificare di nuovo la legge elettorale.
Esiti
I referendum non hanno raggiunto il quorum dei votanti previsto dalla legge per la loro validita'.
Primo quesito
Camera dei deputati - Abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste
Secondo quesito
Senato della repubblica - Abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste
Terzo quesito
Camera dei deputati - Abrogazione della possibilità per uno stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione
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Ultimo aggiornamento Mercoledì 19 Dicembre 2012 11:54 |