Princip Gavrilo |
Sabato 28 Giugno 2014 18:11 |
Gavrilo Princip (Obljaj, 25 luglio 1894 – Terezín, 28 aprile 1918) è stato un rivoluzionario bosniaco, autore dell'attentato di Sarajevo.
Princip apparteneva a un gruppo di militari patrioti, tra i quali si distinse per il suo estremo nazionalismo serbo-bosniaco[1]. Il 28 giugno del 1914, assassinò a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, erede al trono dell’Impero austro-ungarico, insieme a sua moglie, la Duchessa Sofia[1].
L'attentato rappresentò il pretesto impiegato dall'Austria per dichiarare guerra alla Serbia: in poche parole fu il casus belli della prima guerra mondiale.
Indice
Biografia
Gavrilo Princip, l'omicida di origini serbe che col suo gesto scatenò il primo conflitto mondiale, nacque nel luglio del 1894 in Bosnia ed Erzegovina, all'epoca territorio amministrato dall'Austria Ungheria ma soggetto alla sovranità formale della Sublime Porta; era il sesto di nove fratelli e fu uno dei soli tre a sopravvivere durante l'infanzia[2]. Figlio di un postino, la sua gioventù fu segnata dalla povertà e dalle precarie condizioni di salute (contrasse la tubercolosi da bambino)[2].
Divenuto adolescente, fu mandato a Belgrado nel 1912 per continuare la sua istruzione[2]; abbandonò gli studi quando venne coinvolto nel movimento ultra-nazionalistico serbo, unendosi a un'associazione politico-rivoluzionaria, la Giovane Bosnia (Mlada Bosna), il cui obiettivo era liberare la Bosnia ed Erzegovina dal dominio dell'Impero austro-ungarico e annetterla al regno di Serbia[1].
L'attentato di Sarajevo
L’attentato vide la partecipazione, oltre a Princip, anche di altri cinque compatrioti. Il gruppo era armato di pistole e bombe, fornite da una società segreta, la Mano Nera (Crna Ruka), che aveva anche molti sostenitori tra gli ufficiali serbi e i funzionari del governo[1]. L'obiettivo della "Mano Nera" era quello di creare uno stato indipendente slavo guidato dalla Serbia, il quale riunisse anche i territori della Bosnia ed Erzegovina, assorbiti nella sfera austriaca a seguito del Congresso di Berlino nel giugno del 1878 (dopo la Pace di Santo Stefano - marzo 1878), e quelli croati, assoggettati da tempo. Il progetto dell'organizzazione terroristica panslavista vedeva un ostacolo nel disegno "trialistico" di cui l'arciduca Francesco Ferdinando era il più autorevole sostenitore, che prevedeva la creazione all'interno dell'impero asburgico di un terzo polo nazionale slavo accanto a quelli tedesco e magiaro.
Il processo a Sarajevo. Princip è il terzo da sinistra.
Quello del 28 giugno 1914 a Sarajevo fu senza dubbio un attentato fuori dal comune. All’inizio sembrava destinato al fallimento, ma poi le cose andarono diversamente. Le due illustri vittime, l’Arciduca Francesco Ferdinando d’Este, principe ereditario al trono dell’Impero d’Austria-Ungheria, e la moglie, la contessa Sophie Chotek von Chotkowa, furono veramente sfortunati nell’occasione. A Sarajevo, verso le ore 09,50, il commando di attentatori si era recato all’angolo del corso Voivoda, attendendo il passaggio della macchina dell’Arciduca per portare a termine la propria missione di morte.
Alle ore 10,00 in punto, lo studente Gavril Princip uscì da una locanda unendosi alla folla e posizionandosi in prima fila; con la mano che teneva in tasca, stringeva la pistola con la quale avrebbe dovuto sparare all’Arciduca, quando la sua macchina fosse passata davanti a lui. Improvvisamente, in fondo al corso si udì un’esplosione e poco dopo la macchina con a bordo la coppia reale passò a tutta velocità davanti al luogo dove si trovava appostato Princip, dirigendosi verso il municipio. Il primo attentatore aveva infatti sbagliato il lancio di una bomba a mano, riuscendo solo a ferire l’aiutante di campo di Francesco Ferdinando. A questo punto la missione di Princip sembrava fallita, ed egli si incamminò verso Via Re Pietro. Nel frattempo, la macchina dell’Arciduca, raggiunto il municipio, si fermò lì solo il tempo necessario a Francesco Ferdinando per redarguire il sindaco di Sarajevo per l’accoglienza ricevuta.
Quindi ripercorse a ritroso la strada fatta in precedenza per andare a recuperare l’aiutante dell’erede al trono, che nel frattempo era stato medicato per le leggere ferite riportate in precedenza. La macchina percorse l’itinerario a passo d’uomo, a causa della massa di gente che, sfollando, aveva invaso la sede stradale. Princip, che deluso stava ritornando alla taverna, si trovò proprio di fronte alla coppia reale ed esplose due colpi di pistola all’indirizzo delle sue vittime, questa volta colpendole a morte. Princip venne immediatamente tratto in arresto dalle guardie presenti.
L’arma utilizzata per l’assassinio da parte di Gavrilo Princip fu una pistola semi-automatica Browning M 1910 calibro 7.65x17mm (.32 ACP)[1]. I proiettili esplosi da Princip colpirono l’arciduca Francesco Ferdinando al collo, mentre la moglie fu ferita allo stomaco, causando la morte dei due in breve tempo[1].
L'arresto e la prigionia a Terezìn
Dei sei attentatori, la polizia riuscì ad arrestare soltanto Gavrilo Princip e l’amico Nedeljko Čabrinović. Gli altri, a causa della grande folla di persone, non ebbero l’opportunità di entrare in azione, e riuscirono a dileguarsi[1].
La cella in cui venne detenuto Gavrilo Princip.
Una volta arrestato, Princip tentò di suicidarsi. Prima provò a farlo ingerendo del cianuro, la seconda volta sparandosi con la sua pistola. Nessuno dei due tentativi andò a buon fine: nel primo caso vomitò il veleno, come successe anche a Čabrinović, mentre nel secondo caso la pistola venne allontanata prima che potesse sparare un altro colpo[1].
All’epoca dell’attentato Princip, ancora diciannovenne, era troppo giovane per poter subire la condanna a morte; pertanto l'assassino venne condannato a vent'anni di prigione. Ne trascorse soltanto quattro, vivendo in pessime condizioni nella prigione di Terezín, finché morì di tubercolosi il 28 aprile del 1918, all’età di 23 anni[1].
Ruolo storico
Le opinioni storiche su Princip sono state a lungo discordanti.
Nella storia serba, egli viene considerato un eroe nazionale, avendo combattuto per liberare il suo popolo dalla dominazione asburgica. Ancor oggi viene ricordata una frase che pronunciò durante il processo: Noi amavamo il nostro popolo[1]. Al contrario, in Austria la sua figura viene considerata alla stregua di un terrorista[1].
L'opinione maggiormente valida, comunque, è che egli fosse soltanto un mero esecutore, una pedina, piuttosto che il vero ideatore e diretto responsabile della morte dell'arciduca austriaco[1].
Ciò non sminuisce affatto la rilevanza storica del suo gesto; l'omicidio da lui compiuto è infatti considerato l'elemento scatenante della prima guerra mondiale: la goccia che fece traboccare il vaso.
A un direttore del carcere che lo voleva trasferire in un'altra località disse: "Non c'è bisogno di trasferirmi in un'altra prigione. La mia vita sta già scivolando via. Suggerisco di inchiodarmi a una croce e bruciarmi vivo. Il mio corpo fiammeggiante sarà una torcia per illuminare il mio popolo sulla strada per la libertà."
Note
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Ultimo aggiornamento Sabato 28 Giugno 2014 20:26 |