Capitolo XIX |
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Scritto da Vincenzo Cuoco |
Sabato 05 Febbraio 2011 23:09 |
QUANTE ERANO LE IDEE DELLA NAZIONE?
La nazione napolitana bramava veder riordinate le finanze, piú incomode per la cattiva distribuzione che per la gravezza de’ tributi; terminate le dissensioni che nascevan dalla feudalitá, dissensioni che tenevano la nazione in uno stato di guerra civile; divise piú equamente le immense terre che trovavansi accumulate nelle mani degli ecclesiastici e del fisco. Questo era il voto di tutti: quest’uso fecero della loro libertá quelle popolazioni, che da per loro stesse si democratizzarono, e dove o non pervennero o sol pervennero tardi gli agenti del governo e de’ francesi. Molte popolazioni si divisero i terreni, che prima appartenevano alle «cacce regie»[1]. Molti si revindicarono le terre litigiose del feudo. Ma io non ho cognizione di tutti gli avvenimenti, né importerebbe ripeterli, essendo tutti gli stessi. In Picerno, appena il popolo intese l’arrivo de’ francesi, corse, seguendo il suo paroco, alla chiesa a render grazie al «Dio d’Israele, che avea visitato e redento il suo popolo». Dalla chiesa passò ad unirsi in parlamento, ed il primo atto della sua libertá fu quello di chieder conto dell’uso che per sei anni si era fatto del pubblico danaro. Non tumulti, non massacri, non violenze accompagnarono la revindica de’ suoi diritti: chi fu presente a quell’adunanza udí con piacere ed ammirazione rispondersi dal maggior numero a taluno, che proponeva mezzi violenti: - Non conviene a noi, che ci lagniamo dell’ingiustizia degli altri, il darne l’esempio. - Il secondo uso della libertá fu di rivendicare le usurpazioni del feudatario. E quale fu il terzo? Quello di far prodigi per la libertá istessa, quello di battersi fino a che ebbero munizioni, e, quando non ebbero piú munizioni, per aver del piombo, risolvettero in parlamento di fondersi tutti gli organi delle chiese... - I nostri santi - si disse - non ne hanno bisogno. - Si liquefecero tutti gli utensili domestici, finanche gl’istrumenti piú necessari della medicina; le femmine, travestite da uomini onde imporre al nemico, si batterono in modo da ingannarlo piú col loro valore che colle vesti loro. Non son questi gli estremi dell’amore della libertá? Ed a questo stesso segno molte altre popolazioni pervennero; e pervenute vi sarebbero tutte, poiché tutte aveano le stesse idee, i bisogni medesimi ed i medesimi desidèri. Ma, mentre tutti avean tali desidèri, moltissimi desideravano anche delle utili riforme, che avessero risvegliata l’attivitá della nazione, che avessero tolto l’ozio de’ frati, l’incertezza delle proprietá, che avessero assicurata e protetta l’agricoltura, il commercio; e questi formavano quella classe che presso di tutte le nazioni è intermedia tra il popolo e la nobiltá. Questa classe, se non è potente quanto la nobiltá e numerosa quanto il popolo, è però dappertutto sempre la piú sensata. La libertá delle opinioni, l’abolizione de’ culti, l’esenzione dai pregiudizi era chiesta da pochissimi, perché a pochissimi interessava. Quest’ultima riforma dovea seguire la libertá giá stabilita; ma, per fondarla, si richiedeva la forza, e questa non si potea ottenere se non seguendo le idee del maggior numero. Ma si rovesciò l’ordine, e si volle guadagnar gli animi di molti, presentando loro quelle idee che erano idee di pochi. Che sperare da quel linguaggio che si teneva in tutt’i proclami diretti al nostro popolo? «Finalmente siete liberi»... Il popolo non sapeva ancora cosa fosse libertá: essa è un sentimento e non un’idea; si fa provare coi fatti, non si dimostra colle parole. «Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema»... Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicitá? «L’uomo riacquista tutt’i suoi diritti»... E quali? «Avrete un governo libero e giusto, fondato sopra i princípi dell’uguaglianza; gl’impieghi non saranno il patrimonio esclusivo de’ nobili e de’ ricchi, ma la ricompensa de’ talenti e della virtú»... Potente motivo per il popolo, il quale non si picca né di virtú né di talenti, vuol esser ben governato, e non ambisce cariche! «Un santo entusiasmo si manifesti in tutt’i luoghi, le bandiere tricolori s’innalzino, gli alberi si piantino, le municipalitá, le guardie civiche si organizzino»... Qual gruppo d’idee che il popolo o non intende o non cura! «I destini d’Italia debbono adempirsi». «Scilicet id populo cordi est: ea cura quietos sollicitat animos». «I pregiudizi, la religione, i costumi»... Piano! mio caro declamatore; finora sei stato solamente inutile, ora potresti esser anche dannoso[2]. Il corso delle idee è quello che deve dirigere il corso delle operazioni e determinare il grado di forza negli effetti. Le prime idee che si debbono far valere sono le idee di tutti; quindi le idee di molti; in ultimo luogo le idee di pochi. E, siccome coloro che dirigono una rivoluzione sono sempre pochi di numero ed hanno piú idee degli altri, perché veggono piú mali e comprendono piú beni, cosí molte volte è necessario che i repubblicani per istabilir la repubblica si scordino di loro stessi. Molti mali soffrí per lungo tempo Bruto, moltissimi ne previde, ma, finché fu solo a soffrire ed a prevedere, tacque; molti ne soffrirono i patrizi prima che si lagnasse il popolo; finalmente il fatto di Lucrezia fece ricordare ad ognuno che era marito: allora Bruto parlò prima al popolo e lo mosse, poscia parlò al senato, e, quando la rivoluzione fu compíta, ascoltò se stesso. Tutto si può fare: la difficoltá è sola nel modo. Noi possiamo giugnere col tempo a quelle idee alle quali sarebbe follia voler giugner oggi: impresso una volta il moto, si passa da un avvenimento all’altro, e l’uomo diventa un essere meramente passivo. Tutto il segreto consiste in saper donde si debba incominciare. Non si può mai produrre una rivoluzione, a meno che non sia una rivoluzione religiosa, seguendo idee troppo generali, né seguendo un piano unico. Mille ostacoli tu incontrerai ad ogni passo, che non si erano preveduti; mille contraddizioni d’interessi, che, non potendosi distruggere, è necessitá conciliare. Il popolo è un fanciullo, e vi fa spesso delle difficoltá alle quali non siete preparato. Molte nostre popolazioni non amavano l’albero perché non ne intendevano l’oggetto, e talune, che s’indispettivano per non intenderlo, lo biasimavano come magico; molte, invece dell’albero, avrebbero voluto un altro emblema. È indifferente che una rivoluzione abbia un emblema o un altro, ma è necessario che abbia quello che il popolo intende e vuole. In molte popolazioni eravi un male da riparare, un bene da procurare per poter allettare il popolo: le stesse risorse non vi erano in altre popolazioni; né potevano la legge o il governo occuparsi di tali oggetti se non dopo che la rivoluzione era giá compiuta. Le rivoluzioni attive sono sempre piú efficaci, perché il popolo si dirige subito da se stesso a ciò che piú da vicino l’interessa. In una rivoluzione passiva conviene che l’agente del governo indovini l’animo del popolo e gli presenti ciò che desidera e che da se stesso non saprebbe procacciarsi. Talora il bene generale è in collisione cogl’interessi de’ potenti. L’abolizione de’ feudi, per esempio, reca un danno notabile al feudatario; ma, piú del feudatario, sono da temersi coloro che vivono sul feudo. Il popolo trae ordinariamente la sussistenza da costoro; comprende che, dopo un anno, senza il feudatario vivrebbe meglio, ma senza di lui non può vivere un anno: il bisogno del momento gli fa trascurare il bene futuro, quantunque maggiore. Il talento del riformatore è allora quello di rompere i lacci della dipendenza, di conoscer le persone egualmente che le cose, di far parlare il rispetto, l’amicizia, l’ascendente che taluno, o bene o male, gode talora su di una popolazione. Spesse volte ho visto che una popolazione ama una riforma anziché un’altra. Molte popolazioni desideravano la soppressione de’ monasteri, molte non la volevano ancora: piucché la superstizione, influiva sul loro spirito il maggiore o minor bisogno in cui erano de’ terreni. Non urtate la pubblica opinione; crescerá col nuovo ordine di cose il bisogno, e voi sarete sollecitato a distruggere ciò che un momento prima si voleva conservare. Basta dar avviamento alle cose; di molte non si comprende oggi la necessitá o l’utile, e si comprenderá domani: cosí avrete il vantaggio che farete far dal popolo quello che vorreste far voi. Non vi curate degli accessorii, quando avete ottenuto il principale. Io, che ho voluto esaminar la rivoluzione piú nelle idee de’ popoli che in quelle de’ rivoluzionari, ho visto che il piú delle volte il malcontento nasceva dal volersi fare talune operazioni senza talune apparenze e senza talune solennitá che il popolo credeva necessarie. Avviene nelle rivoluzioni come avviene nella filosofia, dove tutte le controversie nascono meno dalle idee che dalle parole. I riformatori chiamano «forza di spirito» l’audacia colla quale attaccano le solennitá antiche; io la chiamo «imbecillitá» di uno spirito che non sa conciliarle colle cose nuove. Il gran talento del riformatore è quello di menare il popolo in modo che faccia da sé quello che vorresti far tu. Ho visto molte popolazioni fare da per loro stesse ciò che, fatto dal governo, avrebbero condannato. «Volendo - dice Macchiavelli - che un errore non sia favorito da un popolo, gran rimedio è fare che il popolo istesso lo abbia a giudicare». Ma a questo grande oggetto non si perviene se non da chi ha giá vinto tanto la vanitá de’ fanciulli di preferir le apparenze alle cose reali, quanto la vanitá anche di quegli uomini doppiamente fanciulli, che non conoscono la vera gloria e che la fanno consistere nel far tutto da loro stessi. Siccome nelle rivoluzioni passive il gran pericolo è quello di oltrepassare il segno in cui il popolo vuole fermarsi e dopo del quale vi abbandonerebbe, cosí il miglior partito, il piú delle volte, è di restarsene al di qua. Il governo avea ordinata la soppressione istantanea di molti monasteri; e questa, commessa a persone non sempre fedeli, non avea prodotto que’ vantaggi che se ne speravano. Si poteano i conventi far rimanere, ma colla legge di non ricever piú nuovi monaci; i loro fondi, con altra legge, si dichiaravano censiti a coloro che ne erano affittuali, colla libertá di acquistarne la proprietá; e cosí si otteneva la ripartizione de’ terreni, l’abolizione del monistero a capo di pochi anni, e frattanto ai monaci si avrebbe potuto vender anche caro questo prolungamento di esistenza. Il voler far in un momento tutto ciò che si può fare non è sempre senza pericolo, perché non è senza pericolo che il popolo non abbia piú né che temere né che sperare da voi. Il popolo è ordinariamente piú saggio e piú giusto di quello che si crede. Talora le sue disgrazie istesse lo correggono de’ suoi errori. Ho veduto delle popolazioni diventar repubblicane ed armarsi, perché nella loro indifferenza erano state saccheggiate dagl’insorgenti. In Caiazzo taluni della piú vile feccia del popolo insursero ed attaccarono le autoritá costituite; tutti gli altri erano spettatori indolenti: gl’insorgenti soli furono i piú forti, vollero rapinare, e questo ruppe il letargo degli altri. Allora gl’insorgenti non furono piú soli: tutta la popolazione difese le autoritá costituite; ed, istruita dal pericolo, Caiazzo divenne la popolazione piú attaccata alla repubblica. Da tutto si può trar profitto: tutto può esser utile ad un governo attivo, che conosca la nazione e non abbia sistemi. Tutt’i popoli si rassomigliano; ma gli effetti delle loro rivoluzioni sono diversi, perché diversi sono coloro che le dirigono. Molti avvenimenti io potrei narrare in prova di ciò che ho detto; ma si potrebbe dir tutto senza una noia mortale? Agli esteri bastano i risultati; i nazionali, quando vogliano, possono applicare a ciascuno di essi i fatti ed i nomi che giá sanno.
Note
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