Napoli - San Gennaro: vita, morte e miracoli |
Scritto da Giovanni Di Cecca | ||
Lunedì 18 Settembre 2017 13:00 | ||
Come è ormai tadizione da più di un millennio si ripete domani il Miracolo di San Gennaro, Santo Patrono della Città di Napoli e dei Napoletani in patria, e di tutti gli italiani emigranti nel mondo.
E' storia assai complessa quella del santo, anche perché si perde nelle oscure pieghe del tempo e della Storia (quella con la S maiuscola) la sua breve ed intensa vita.
In primo luogo le fonti documentarie sulla vita e le opere di san Gennaro sono le seguenti
Ovviamente, considerando che le prove dell'esistenza del santo risalgono ad almeno due secoli dalla presunta nascita, è difficile sostenere con assoluta certezza la reale esistenza del martire.
Nascita
Le fonti, tacciono la sua nascita, l'anno, inidicazione di qualche episodio importante che indirettamente ci fa risalire la sua nascita, e non è chiaro neanche il luogo della nascita.
L'unica cosa grossomodo certa è che fosse Vescovo di Benevento, e tradizione locale vuole che il Santo sia nato nel capoluogo sannita intorno al 272 d.C.
Alcuni biografi, invece, attribuiscono le sue origini a Napoli, dove si è manifestato il Prodigio delle sue reliquie.
Fonti calabresi più blande lo fanno addirittura nativo di Calafàtoni, un antico villaggio nei pressi di Caroniti, nel vibonese.
Di certo, l'unica cosa che possiamo affermare con certezza è che sia un santo campano, o, quantomento un santo del Sud Italia.
Non si sa, ma è indirettamente possibile risalire alla sua estrazione sociale dal nome.
Infatti pare che Gennaro, prima di essere Santo, fosse nato da una nobile (patrizia) famiglia. L'unica attendibiità è che il nome Gennaro, appunto, sia da attribuire alla sua data di Nascita, ovvero Gennaio.
Infatti Gennaro risale al latino Ianuarius che significava «consacrato al dio Giano» ed era in genere attribuito ai bambini nati a gennaio (Ianuarius), mese sacro al dio.
Alcune fonti dicono che pur essendo nato da una famiglia patrizia (nobiliare) abbia deciso di lasciare tutto (con sommo dispiacere del padre che lo avrebbe cacciato) e dedicarsi a questa nuova religione che si stava diffondendo dal medio oriente.
Vita
Come detto in precedenza, Gennaro divenne Vescovo della città di Benevento durante il periodo storico delle persecuzioni di Diocleziano (di cui era coevo).
Non esistono fonti precise sulle sue opere durante il periodo di vescovado e sulla sua formazione culturale.
L'unica cosa che emerge dalle pieghe della storia e come arriva al martirio.
Il fatto che portò alla martirizzazione di Gennaro sarebbe avvenuto all'inizio del IV secolo, durante la persecuzione dei cristiani da parte dell'imperatore Diocleziano.
San Gennaro era il vescovo di Benevento e si recò insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo in visita ai fedeli a Pozzuoli.
Il diacono di Miseno, Sossio - già amico di Gennaro, il quale lo aveva incontrato in passato a Miseno per discutere di fede e leggi divine -, fu arrestato per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania, lungo la strada che stava percorrendo per recarsi alla visita pastorale ed assistervi.
In seguito, Gennaro insieme a Festo e Desiderio si recò in visita dal prigioniero, ma, avendo interceduto per la sua liberazione ed avendo fatto professione di fede cristiana, furono anch'essi arrestati da Dragonzio e condannati ad essere sbranati dai leoni nell'anfiteatro di Pozzuoli.
Il giorno dopo, tuttavia, per l'assenza del governatore stesso, impegnato altrove o, secondo altre fonti, accortosi che il popolo dimostrava simpatia verso i condannati, e quindi per evitare disordini, il supplizio fu sospeso.
Secondo la tradizione invece, il supplizio fu mutato per l'avvenimento di un miracolo: le fiere si sarebbero inginocchiate al cospetto dei condannati, dopo una benedizione fatta da Gennaro; Dragonzio comandò allora che a Gennaro e ai suoi compagni venisse troncata la testa.
Condotti nei pressi del Forum Vulcani (l'attuale Solfatara di Pozzuoli), essi furono decapitati nell'anno 305.
La stessa sorte toccò anche a Procolo, diacono della chiesa di Pozzuoli, e ai due laici Eutiche e Acuzio che avevano osato criticare la sentenza di morte dei quattro.
Gli Atti affermano che nel luogo del supplizio sorse una chiesa in ricordo del loro martirio, mentre il corpo di Gennaro sarebbe stato sepolto nell'Agro Marciano e solo nel V secolo traslato dal duca-vescovo di Napoli Giovanni I nelle Catacombe di San Gennaro.
Negli Atti Vaticani si narrano molti altri episodi mitici.
I più conosciuti narrano di Gennaro e dei suoi compagni che si sarebbero recati a Nola, dove avrebbero incontrato il perfido giudice Timoteo.
Questi, avendo sorpreso Gennaro mentre faceva proselitismo, lo avrebbe imprigionato e torturato.
Poiché le tremende torture inflittegli non sortivano effetto, lo avrebbe infine gettato in una fornace ardente; una volta riaperta la fornace, non solo Gennaro vi uscì illeso e senza che neppure le sue vesti fossero state minimamente intaccate dal fuoco, ma le fiamme investirono i pagani venuti ad assistere al supplizio.
Caduto malato e nonostante fosse guarito da Gennaro, Timoteo non mostrò alcuna gratitudine ma lo fece condurre all'anfiteatro di Pozzuoli affinché fosse sbranato dalle fiere.
Per questi racconti è chiara la derivazione dalla Bibbia, in modo particolare dal Libro del profeta Daniele, a cui il redattore degli Atti Vaticani deve essersi ispirato.
Durante il cammino verso il luogo dell'esecuzione, situato presso la Solfatara, un mendicante chiese a Gennaro un lembo della sua veste, da conservare come reliquia. Gennaro rispose che, una volta eseguita la sentenza, avrebbe potuto prendere il fazzoletto con cui sarebbe stato bendato.
La tradizione vuole che, mentre il carnefice si preparava a vibrare il colpo mortale, Gennaro si fosse portato un dito alla gola per sistemarsi il fazzoletto. In quell'istante il carnefice calò la scure, recidendo anche il dito. Quella notte, Gennaro apparve in sogno a colui che era incaricato di portare via il corpo, invitandolo a raccogliere anche il dito.
Sempre secondo la tradizione, subito dopo la decapitazione sarebbe stato conservato del sangue, come era abitudine a quel tempo, raccolto da una pia donna di nome Eusebia che lo racchiuse in due ampolle; esse sono divenute un attributo iconografico tipico di san Gennaro.
Il racconto della pia donna è tuttavia recente, e compare pubblicato per la prima volta solo nel 1579, nel volume del canonico napoletano Paolo Regio su "Le vite de' sette Santi Protettori di Napoli".
I vari ed interessanti testi agiografici (inni, carmi e lodi) in onore di san Gennaro e dei suoi compagni martiri si possono consultare nella Bibliotheca Sanctorum edita dalla Pontificia Università Lateranense nel 1965.
Morte
Gli Atti Bolognesi indicano il 305 come l'anno del martirio.
Documenti liturgici molto antichi, come il calendario cartaginese (redatto poco dopo il 505) ed il Martirologio Geronimiano del V secolo assegnano come data del martirio di Gennaro e dei suoi compagni il 19 settembre; indicano invece nel 13 aprile la data della prima traslazione dei resti del santo.
Anche in un altro martirologio risalente all'VIII secolo, redatto dal monaco inglese Beda, il 19 settembre viene indicato come data del martirio.
Nel calendario marmoreo di Napoli la data del 19 settembre viene indicata come "dies natalis" di San Gennaro che, nella tradizione cristiana, è il giorno della nascita alla vita eterna, ovvero della morte.
Tutte queste fonti, e numerose altre ancora, attestano che la venerazione per san Gennaro ha origini antichissime che risalgono all'epoca del suo martirio o al più tardi a quella della prima traslazione delle sue spoglie, avvenuta nel V secolo.
Le spoglie del santo
Altro problema è stato quello di capire dove hanno dimorato le spoglie del Santo.
Anche in questo caso, le informazioni sono molto antiche e non ben chiare.
Il vescovo di Napoli Giovanni I trasportò fra il 413 e il 431 le reliquie del santo dall'Agro Marciano nella parte inferiore delle catacombe napoletane di Capodimonte, le quali assunsero così il nome del santo, e qui esse furono centro di vivissimo culto.
Loculo dove hanno dimorato le spoglie di San Gennaro a Capodimonte
Il principe longobardo di Benevento Sicone I, assediando la città di Napoli nell'831, ne approfittò per impossessarsi dei resti mortali portandoli nella sua città, sede episcopale.
Le sante reliquie furono deposte nella cattedrale - che allora si chiamava Santa Maria di Gerusalemme - ove restarono fino al 1154.
In quell'anno infatti, considerando che la città di Benevento non era più sicura, il normanno Guglielmo I il Malo provvide affinché esse venissero traslate nell'Abbazia di Montevergine.
A Montevergine però la devozione dei pellegrini che vi si recavano era rivolta soprattutto a san Guglielmo e alla popolarissima icona bizantina della Madonna chiamata "Mamma Schiavona", sicché di san Gennaro si perse ben presto la memoria e addirittura la cognizione del suo luogo di sepoltura.
A Napoli invece il culto per San Gennaro rimaneva vivissimo, anche per la presenza delle altre sue reliquie: il capo e le ampolle con il suo sangue, che non furono trafugate come i resti del corpo.
Carlo II d'Angiò dopo aver fatto eseguire dai maestri orafi francesi Stefano Godefroy, Guglielmo di Verdelay e Milet d'Auxerre un preziosissimo busto-reliquiario in argento dorato per contenere la testa e le ampolle con il sangue del santo, espose per la prima volta la reliquia alla pubblica venerazione nel 1305(foto sotto).
Suo figlio Roberto d'Angiò invece fece realizzare la teca d'argento che custodisce le due ampolle del sangue (foto sotto).
Tuttavia la liquefazione del sangue non è attestata prima del 17 agosto 1389, allorché il miracolo si compì durante una solenne processione intrapresa per una grave carestia.
Quando a Montevergine per merito del cardinale Giovanni di Aragona furono ritrovate le ossa di san Gennaro, collocate al di sotto dell'altare maggiore, la potente famiglia dei Carafa si impegnò, grazie soprattutto all'interessamento del cardinale Oliviero e con il sostegno di suo fratello l'arcivescovo napoletano Alessandro Carafa, affinché le reliquie tornassero a Napoli, la qual cosa avvenne nel 1497, non senza l'opposizione da parte dei monaci di Montevergine.
Come degno luogo per ospitarle, il cardinale Oliviero Carafa fece costruire nel Duomo di Napoli, al di sotto dell'altare maggiore, una cripta d'eccezione in puro stile rinascimentale: la Cappella del Succorpo (foto sotto).
La pestilenza del 1526 e la Cappella del Tesoro al Duomo
A seguito di una terribile pestilenza che imperversò a Napoli fra il 1526 ed il 1529, i napoletani fecero voto a san Gennaro di edificargli una nuova cappella all'interno del Duomo.
Benché i lavori fossero iniziati solo nel 1608 e siano durati quasi quarant'anni, la sfolgorante e ricca Cappella del Tesoro di San Gennaro venne infine consacrata nel 1646.
Cappella del Tesoro di San Gennaro - Duomo di Napoli
Documento originale dell'atto notarile tra San Gennaro e la Citta di Napoli
Dettaglio
Al di sopra del suo splendido cancello realizzato da Cosimo Fanzago, figura l'iscrizione Divo Ianuario e fame bello peste ac Vesaevi igne miri ope sanguinis erepta Neapolis civi patr. vindici ("A San Gennaro, al cittadino salvatore della patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra").
Nel 1633 la città di Napoli, sulla cappella del tesoro, nel suo Duomo scolpiva la sua riconoscenza con la seguente dedica: Divo Jannuario - Patriae, regnique praesentissimo tutelari - grata Neapolis.
Il 25 febbraio 1964 il cardinale arcivescovo Alfonso Castaldo fece la ricognizione canonica delle venerate reliquie: "Le ossa furono trovate ben custodite, in un'olla di forma ovoidale che reca incisa l'iscrizione calligrafica, Corpus Sancti Jannuarii Ben. E.P.".
Una ricognizione scientifica eseguita il 7 marzo 1965 dal professore G. Lambertini stabilì che il personaggio a cui appartengono le ossa è da individuarsi in un uomo di età giovane (35 anni) di statura molto alta (1,90 m).
I Miracoli
San Gennaro, il cui culto come detto risale da più di 1.600 anni a Napoli, è un santo con parecchie licenze che i napoletani si sono presi.
Infatti al netto delle sue peculiarità di santo patrono di una città complessa come Napoli, è prima di tutto una persona di Famiglia, cui i Napoletani (oggi, forse, solo principalmente del Centro Antico e parte del Centro Storico) si rivolgono in modo diretto.
Nella tradizione del Culto, infatti, esistono un gruppetto di signore anziane che vengono chiamate le parenti di San Gennaro.
Per un'antica tradizione, che si perde nella notte dei tempi, si narra che Le Parenti di San Gennaro, fossero dei discenti della famiglia del Santo.
Poi intorno al 1500 si iniziò a parlare della nutrice di Gennaro, Eusebia, di cui le Parenti sarebbero dicsendenti.
Oggi sono una congraga di pie donne devote al culto del santo.
Ma fino a non moltii anni fa, avevano una caratteristica particolare, nel caso il Santo tentennasse nel fare il miracolo, lo chiamavano dandogli degli epiteti non proprio sacri, perché, com mostra la storia di Napoli, era un brutto presagio se il Santo non facesse il miracolo.
Senza scomodare ricordi ancestrali, nel corso del XX Secolo San Gennaro non fece il Miracolo nel 1943, e non presagiva nulla di buono, infatti a II Guerra Mondiale in corso gli Alleati si trovarono di fronte sia i Nazisti che l'eruzione del Vesuvio (al momento l'ulitma della Storia).
Ciò che, invece non viene ricordato, è ciò che accadde in quei durissimi giorni a Napoli.
Mentre la cittadinanza fu "ricoverata" nelle antiche cisterne e catacombe per sfuggire ai bombardamenti alleati (Napoli fu la città italiana più devastata dalle bombe aeree per via della sua posizione strategica), si sparse la voce che la teca col Sangue fosse andata distrurtta a causa di una bomba d'aero.
Incuranti della paura e delle bombe si riversarono in massa al Duomo per vedere che era successo, per sapere se il Tesoro più grande della città fosse andato perduto per sempre.
Le ampolle erano intatte ed integre, con buona pace di tutti.
Più recente, rimasta nella memoria collettiva di chi ha quasi 40 anni, rimane il Terremoto del 1980.
Infatti il Santo, nonostante le perghiere (ed imprecazioni delle Parenti di San Gannaro) il Santo non volle saperne.
Solo 2 mesi dopo il più grande e devastante terremoto della storia recente si abbatté sulla Campania, Basilicata: 1 minuto di puro terrore, Magnitudo 6,9 (X Mercalli), 20Km sotto la superfice per 2.914 vittime ed i comune di Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania cancellate dalle cartine geografice.
Napoli non fu colpita direttamente, ma i danni alla città, soprattutto alla Stadera (via Stadera a Poggioreale) il palazzo crollato, le vittime.
Avevo 3 anni e 20 giorni quella sera, ma l'unica cosa che ricordo a parte il caos che delle persone in mezzo la strada, abitando lì vicino, furono alcuni cittadini che, finita la scossa, si fiondarono al Duomo invocando il Santo.
San Gennaro che Ferma la lava del Vesuvio al Ponte della Maddalena del 1631 Uno dei "miracoli" più famosi del Santo è la calamitosa eruzione del Vesuvio del 1631, che minacciava di distruggere Napoli. Si narra che in quell'eruzione che sembrava senza sosta e molti dei comuni vesuviani furono distrutti, la lava stesse minacciando la stessa città di Napoli, arrivando fino, appunto, al Ponte della Maddalena (che un secolo e mezzo dopo avrebbe avuto altre gesta eroiche... ma questa... è un'altra storia...). Nel frattempo, una folla terrorizzata aveva portato il santo patrono di Napoli sul luogo interessato dalla catastrofe naturale e lo supplicò di arrestare la furia del vulcano; fortunatamente la lava si arrestò come ad obbedire alla volontà di San Gennaro, non causando danni e salvò la vita agli abitanti della zona. Ancora oggi, nella memoria della città partenopea è ben presente l’evento e l’intervento provvidenziale del santo patrono, che continua a vegliare incessantemente su questa meravigliosa città, per proteggerla da ogni calamità ed evento funesto. A ricordo dello scampato pericolo (a distanza di più di tre secoli è ancora vivo nella mente e nel ricordo dei napoletani), e quasi a proteggerela città, esiste ancor oggi una statua di San Gennaro con la mano alzata a fermare l'eruzione del Vesuvio. Nel corso del tempo la statua, scolpita da Francesco Celebrano, è stata vandalizzata ed ha perso alcune dita, ma sta ancora lì a ricordare quanto accaduto ed a proteggere la città... nonostante tutto. Di fronte c'è l'altra statua dell'altro conpatrono di Napoli , il santo boemo Giovanni Nepomuceno, fustigatore di alluvioni ed annegamenti, purtroppo ora con il braccio spezzato. Entrambe le opere scultoree sono poste in edicole votive, ai lati della strada
Il Culto San Gennaro, a differenza di molti santi che hanno un solo giorno nel calendario (spesso condiviso) è uno dei pochisimi santi che può vantare almeno 3 festività l'anno - Sabato della Prima Domenica di Maggio: Questa celebrazione ricorda la traslazione delle ossa da Pozzuoli a Capodimonte, infatti è l'unica che si fa con la processione delle statue per il Centro Antico dal Duomo a Santa Chiara. Fino a qualche anno fa la processione si faceva all'andata ed al ritorno, oggi solo l'andata - 19 settembre: Solennità di San Gennaro, ricordo del Martirio alla Solfatara il 305 - 16 dicembre: Si ricorda l'eruzione del Vesuvio del 1631 che fu fermata dal Sangue del Santo
Il Santo Giacobino
Come detto la storia di San Gennaro è strettamente legata a quella di Napoli, tanto da non poter parlare di Napoli senza parlare di San Gennaro, e non parli di San Gennaro senza parlare di Napoli.
Questa sublimazione avvenne in modo altissimo durante il periodo della Repubblica Napoletana del 1799.
Va fatto un piccolo preambolo
San Gennaro è un santo di Famiglia come si suol dire, sul significato dello scioglimento del sangue si sono scritte migliaia di pagine (anche sul fatto che sia un fake, ma trascende questo specifico articolo), e a differenza di altri santi come "l'antagonista" Sant'Antonio da Padova, è un santo che non ti guarda dal basso verso l'alto, ma è esso stesso cittadino fra i cittadini, fratello tra i fratelli, insomma è un santo che protegge la Napoli quasi come (non me ne abbia il Santo) Batman protegge Gotham City o Superman Metropolis.
Lo scioglimento è sempre stato visto come un atto sacrale di accogliemento delle preghiere e di benedizione (di fatto il Santo non ha mai fatto il miracolo davanti i Re di Casa Savoia).
Durante la Repubblica, dove c'erano repubblicani e monarchici, San Gennaro, come riporta la cronaca del Nostro Giornale Num. 26 del 9 maggio 1799, durante il Miracolo di Maggio, il primo della "stagione", San Gennaro scioglie il sangue davanti gli esponenti giacobini.
Questo avvenimento da una parte del popolo fu visto subito come un tradimento di quello che è stato il sistema sociale dl Regno di Napoli prima e Due Sicilie dopo dove c'è l'autorità del Re e non quella dei Gicobini atei, degenerati, massoni e sobillatori, che parlano di popolo quando con la libertà certo non si riempe la pancia e scampa alla fame atavica.
Ma sul significato dello scioglimento del sangue durante il periodo giacobino pure si è fatta speculazione.
A parte i soliti sostenitori del fake (ai quali chiedo di spiegare come e perché a dicembre 2016, dopo moltissimi movimenti il sangue non si è sciolto, se quello non è sangue ma un prodotto alchemico che se agitato si scioglie), quello che se sembra, è che il Santo abbia visto in quel movimento storico una possibilità per i popolo napoletano di potersi riprendere la propria vita, di poter annullare le antiche divergenze sociali, di poter autodeterminare il proprio destino.
Fatto sta che i San Fedisti entrarono a Napoli il 13 giugno 1799 giorno di Sant'Antonio da Padova, ed il Santo Patrono fu deposto per ben 15 anni dal 1799 al 1814 da Patronus della Città.
A memoria di quanto accaduto possiamo trovare documenti, disegni e dipinti dell’epoca, in cui si vede Sant’Antonio rincorrere e scacciare San Gennaro con un bastone. Anche il cardinale Zurlo, fu punito per il suo essere stato troppo accondiscendente verso la Repubblica Napoletana, ed il comportamento in occasione dei prodigi del Santo ebbe un notevole peso nella sua condanna all’esilio a Montevergine da cui non tornò in vita. A Martina Franca per esempio si racconta che i sanfedisti troncarono il capo di una statua dell’Immacolata gettandolo nell’immondizia, e poi presero a bastonate la statua del santo protettore San Martino.
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