Qualche tempo fa ho pubblicato sulla pagina dedicata alla biografia di Eleonora de Fonseca Pimentel le fotografie della sua ultima dimora, dove è posizionata attualmente la targa commemorativa (via Sant'Anna di Palazzo di fronte la pizzeria Brandi, una traversa di Via Chiaia).
La mia vice quando ha visto quelle foto mi ha detto che era un falso storico, in quanto da alcune sue ricerche effettuate presso l'Archivio Storico di Stato di Napoli è emersa un'altra verità, che imporrebbe, a questo punto, lo spostamento di questa targa.
Di seguto è riportato l'articolo di Antonella Orefice che illustra questa suo studio.
Giovanni Di Cecca
Il 20 agosto 1799 finiva la vita della marchesa Eleonora de Fonseca Pimentel , ma immortale resterà inciso il suo nome nel Pantheon dei martiri della libertà.
Eleonora di sé non lasciò soltanto gli scritti ed il ricordo glorioso e sofferto della sua breve esistenza. Fu la morte stessa ad avvolgerla nel suo più grande mistero: il luogo della sepoltura.
Secondo i registri dei Bianchi della Giustizia il cadavere fu seppellito nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli, una piccola congrega funeraria, demolita poi nel primo Ottocento. Nonostante la fioritura dei testi, nessun ricercatore ha tentato di andar oltre il luogo comune secondo il quale, scomparendo il sito che aveva ospitato la salma, fosse scomparsa anche questa. Qualsiasi biografia finisce in Piazza Mercato con l’esecuzione del 20 agosto del 1799 e tutte alla fine stendono un velo sulla questione della sepoltura.
In diversi testi di toponomastica storica esistono elencati ben cinque riferimenti a chiese intitolate a S. Maria di Costantinopoli site nel quartiere Mercato alla fine del 1700.
Chiesa di S. Maria di Costantinopoli ai Barrettari, dei funari e campanari
Chiesa di S. Maria di Costantinopoli alla strada dei foretani
Confraternita di S. Maria di Costantinopoli in Santa Caterina in Foro Magno
Cappella di S. Maria di Costantinopoli dei fusi e cocchiari
Chiesa di S. Maria di Costantinopoli a Santo Eligio (fratelli cappellisti)
La molteplicità dei siti è stato, senza dubbio, uno dei motivi che hanno scoraggiato gli studiosi. Eppure, se prima di intraprendere una così ardua indagine si fosse concentrata un po’ più l’attenzione alla testimonianza dei Bianchi, si sarebbe scoperto che essa conteneva la chiave per una indagine più mirata. Come scriveva Luigi Conforti: “I documenti non basta raccoglierli, bisogna esaminarli”.
Di seguito sono integralmente riportati i passi relativi all’esecuzione del 20 agosto 1799; le omissioni riguardano note d’ufficio tra i confratelli celebranti il triste rito.
La storia della marchesa Eleonora de Fonseca Pimentel trasuda leggende, molte delle quali sorte in seno ad una perversa fantasia borbonica atta a voler distruggere di lei, oltre che la gloriosa impresa storica, l’immagine della donna tanto odiata, non solo per il suo reato di lesa maestà, ma soprattutto perché aveva osato contravvenire con la sua scomoda cultura ai canoni imposti alla sua condizione d’inferiorità femminile: marito, chiesa e sacra famiglia.
Tanto si è detto e scritto al puro scopo di infangarne la memoria, adombrando quanto di glorioso ed immortale Eleonora ci ha lasciato con il sacrificio della sua esistenza. La storia delle mutande negate è stato l’atto più infame con cui si è cercato di punire l’intellettuale e la donna nella sua intimità più profonda, facendo sì che quel popolo di lazzari e despoti regnati assetati di sangue potessero godere fino alla fine della sua morte, facendo vilipendio di quanto vi è di più naturalmente intimo in una donna: il suo utero.
Carnefici e sanguinari i giustizieri borboni conoscevano molto bene gli effetti esercitati dall’impiccagione sul corpo di una donna. La fuoriuscita dell’utero avrebbe reso lo spettacolo ancor più esaltante. Il tripudio era assicurato. Da lì la ragione per la quale le mutande non dovevano essere consentite in modo che tutti potessero godere la pienezza dello spettacolo offerto dal loro grande sovrano, Ferdinando e la sua degna consorte Maria Carolina.
Ebbene, nonostante questa vergognosa leggenda sia stata purtroppo tramandata e riportata per vera ad iniziare dallo storico Mariano d’Ayala (uno dei primi ricercatori dei martiri della libertà, il quale nella ricostruzione delle biografie dei martiri si servì oltre che di documenti scritti anche – e purtroppo -di testimonianze verbali poco attendibili perché avevano subìto tutto il peso della censura borbonica) fino al bellissimo romanzo storico di Enzo Striano – Il Resto di Niente - non esiste alcun documento ufficiale o cronaca del tempo che fa emergere questo particolare. Esiste invece un richiamo simile in una cronaca riportata dal d’Ayala, relativa all’esecuzione di Luisa Sanfelice, ultima martire della Repubblica Napoletana del 1799.
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